lunedì 29 aprile 2019

"E non è certo il tempo quello che ti invecchia e che ti fa morire": quello che mi è piaciuto di Manuel Agnelli all'Auditorium (18/04/2019)

Stasera ho sfidato l'alternanza sereno-pioggia e il freddo pazzesco di "questo aprile che sembra dicembre", per dirla con Vasco Brondi, per andare ad assistere alle prove di Manuel Agnelli in piazza San Giovanni, ospite del concertone del primo maggio, da cui manca dal 2012, anno in cui non fecero suonare gli Afterhours perché avevano sforato con i tempi della diretta (e lui, giustamente, si incazzò come una bestia).
Mi piacerebbe dirvi che ormai la mia sintonia con Agnelli ha raggiunto dei tali livelli di perfezione che gli faccio tana in tutti gli angoli del globo ma non è così: mi era arrivata una soffiata last minute che mi svelava quando sarebbe salito sul palco, perché ormai gli amici sanno che sono una drogata di Afterhours e, di conseguenza, sanno come farmi felice, tipo la cognata che mi ha portato da Milano un libro fresco fresco dalla libreria "Germi".



Lo guardavo da lontano, l'Agnellone, col cappotto blu e la chitarra, intonare i pezzi che canterà il primo maggio accompagnato da Rodrigo D'Erasmo al violino, e ripensavo a quando ho monitorato quasi tutti i giorni il sito di Ticketone perché avevo deciso che anche sola, anche in un giorno infrasettimanale, anche senza avere idea di come cazzo tornare dall'Auditorium coi mezzi se si fosse sforato l'orario di chiusura metro (cosa regolarmente avvenuta), anche se avevo detto: "eh ma costa troppo e poi 'sta cosa senza band non mi convince" io sarei andata a sentirmelo per la milionesima volta. E' Amore, ragazzi, è Amore vero, perché l'ho già detto e lo ripeto, l'Amore è quella sensazione di non stancarsi mai dell'altro o di sentire la stanchezza passare appena ci si guarda negli occhi... o passano le note di QUEL pezzo.
Ho letto tanti report dello spettacolo portato in giro dall'Agnellone versione solista e quasi tutti sottolineavano con enfasi di quanto fosse a suo agio e simpatico sul palco.
Io sarò la voce fuori dal coro e vi dirò che no, per quel che mi riguarda il valore REALE delle esibizioni che sta per chiudere dopo aver portato lo spettacolo per tutta Italia isole comprese non sta nella centesima volta in cui racconta la storiella della fan veneta un po'  stalker e un po' criticona o nel momento in cui attacca il finto pippotto su quanto siano noiosi gli artisti autoreferenziali, per poi togliersi la giacca e mostrare che indossa la t-shirt col suo ritratto.
A me è piaciuta la lunga intro di musica classica, che molto probabilmente veniva da un vero vinile perché tra le note mi sembrava di sentire dei fruscii che mi facevano pensare di essere davvero in qualche salotto pieno di storia e di ricordi.
Mi sono piaciute le bellissime luci, che a un certo punto erano viola, con lui pallido al centro del palco, con indosso una giacca di velluto, e mi è venuto da ridere perché ho ripensato alla mia collega Susy che mi dice sempre: "Oh ma il tipo tuo dev'esse un vampiro: a te te piacciono tutti quelli che parono usciti dalla cripta!".
Mi sono piaciute le cover che ha fatto, da "Perfect Day" di Lou Reed a "Video Games" di Lana del Rey passando per "You know you're right" dei Nirvana, perché si sentiva che lui quei pezzi li ama davvero e li ha suonati mettendoci cuore e anima.
Mi è piaciuto che riproponesse brani che non suona mai - o pochissimo - con gli Afterhours, come "Dove si va da qui", che contiene un verso-manifesto come "Sapere sempre dove sei ti può smarrire".


Mi è piaciuto che parlasse di "Pelle", che al di là delle battute con cui ha condito il racconto della sua genesi, narra del dolore che ti lasciano le storie che non ne vogliono sapere di finire anche quando sai che "forse è stato meglio così", come canta in "Non voglio ritrovare il tuo nome" (pezzo che, però, è mancato in scaletta).

Il pezzo del concerto che più di tutti mi ha emozionato, però, è stato quello in cui ha parlato di come è nato "Folfiri o Folfox", del potere catartico che ha avuto nell'esorcizzare la perdita del padre morto di cancro. Ha detto: "Ho provato a tirare fuori con la musica quello che stavo provando io e, a volte, anche quello che pensavo stesse provando lui". E' partito il violino di "Ti cambia il sapore" e io ho pianto, sola al buio in mezzo a tutti quegli sconosciuti, perché quella mattina, per una di quelle coincidenze a cui è difficile credere se non quando capitano a te, avevo scoperto che quattro anni fa è morto il mio ex suocero, all'età che ha oggi mio padre, andando a far riconoscere alla asl la sua esenzione 048, quella che si assegna ai malati di cancro, lo stesso mese in cui è morto suo figlio, che è stato il mio fidanzato per sette anni. Avevano la stessa esenzione, Luca e suo padre Giorgio.



Ho ripensato a quell'uomo schivo, silenzioso, curvo sulla sua scrivania tra le sue carte e il fumo della sigaretta perennemente accesa. Ho fantasticato su chissà quante volte si era pentito di aver parlato poco con quel figlio che era venuto su silenzioso come lui e di come quel dolore troppo grande lo aveva consumato dentro, lui così poco abituato a tirare fuori le emozioni.
Ecco perché io amo Manuel Agnelli e le canzoni degli Afterhours, ecco perché le ho sentite, le sento e le sentirò cento milioni di volte: mi tirano fuori quello che da sola non so dire o che non so dire così bene.
Bologna, aspettami per il 18 luglio: da sola o in compagnia, all'ennesimo rito catartico di un concerto degli Afterhours io non rinuncio nemmeno questa volta.

lunedì 18 marzo 2019

Pensati libera: Florence + The Machine @Unipol Arena (Casalecchio di Reno, Bo, 17/03/2019)

A Bologna, la famosa frase "Muri puliti, popoli muti" non calza proprio. Ogni muro, ogni colonna dei portici è vergata da una scritta che può andare dalla bestemmia alla poesia. Evidentemente, i bolognesi - o coloro che transitano per questa città - muti non ci sanno proprio stare.
A via del Pratello - la via dove sorgeva la storica "Radio Alice" raccontata nel film di Guido Chiesa "Lavorare con lentezza", quello in cui Manuelone Agnelli partecipava cantando "Gioia e Rivoluzione" degli Area, per capirci - c'è una scritta che mi ha colpita, tanto che l'ho voluta fotografare. Questa scritta che qualcuno ha lasciato dice: "Pensati libera sempre". Proprio così, al femminile.


Visto che uno dei problemi della mia vita è che spesso mi ritrovo a constatare il caos e la casualità totale nelle cose che succedono a me e intorno a me, amo trovare nessi e correlazioni che diano un senso.
Ecco, io il senso di quella scritta che mi aveva fatto rallentare l'ho ricollegato al motivo che mi ha portato a Bologna: il concerto di Florence + The Machine.
Ero curiosissima di vedere sul palco questa rossa cantante londinese, che mi ha rubato il cuore come non mi succedeva dai tempi di Tori Amos.
E' bella Florence, di quella bellezza, che, però, cogli solo se metti insieme tutte le parti del suo viso, del suo aspetto, della sua musica e del suo messaggio.
Dopo l'avventuroso viaggio in una delle navette strapiene dirette dalla stazione di Bologna alla volta del palazzetto, arriviamo che già ha iniziato l'apertura il trio degli Young Fathers. Non sono stati male, mi hanno ricordato tanto gli Asian Dub Foundation, che spopolavano negli anni '90 pure nelle serate alternative a me tanto care, o pezzi come la stra-famosa "Freestyler", sempre decennio '90 (della serie "nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma" applicato alla musica).
Dieci minuti dopo le 21 è arrivata lei, Florence, con i suoi musicisti.
Premesso che, ormai, mi sa che mi dovrò rassegnare all'idea che, se non compri 'sto maledetto biglietto area pit, l'artista lo vedi letteralmente col binocolo da qualunque posizione, per fortuna ai lati del palco c'erano due bei maxi-schermi che aiutavano a godersi il concerto anche nella parte visiva, che in un'artista come Florence Welch è importantissima, visto che non solo ha una voce IDENTICA per forza, grazia e bellezza, a quella che si ascolta su disco ma crea uno spettacolo da gustare anche con gli occhi. Niente effetti speciali: l'effetto speciale E' LEI STESSA, le sue movenze, le sue belle mani, i suoi capelli che somigliano a quelli delle fate dei libri che sfogliavamo da piccole, i suoi vestiti lunghi e leggeri, che ci dicono che in qualcuno sensualità e finezza si possono dare credibilmente la mano.
Corre sul palco, Florence: balla, si avvita, batte forte i piedi nudi e poi... poi arriva quel momento in cui scende tra il pubblico, come chi la segue le ha visto fare mille e mille volte nei filmati che girano su youtube.
Ieri, ad un certo punto, era china su un gruppo di ragazzi della transenna ed una ragazza le ha fatto una carezza sui capelli così bella, così dolce che davvero, ho pensato, nella vita si vive per momenti come questo, per avere una carezza così, che dica: "Tranquilla, andrà tutto bene, con noi sei al sicuro".
La canzone su cui succede tutto questo si chiama Delilah. Uno dei suoi versi dice "Too fast for freedom, sometimes it all falls down, these chains never leave me, I keep dragging them around"", "Troppo veloce per la libertà, certe volte cade tutto, queste catene non mi lasciano mai e continuo a trascinarle in giro".
Troppo veloce per la libertà... ma ecco che mi viene in mente quel "pensati libera sempre" sul muro al Pratello e la canzone prosegue con "'cause I'm gonna be free and I'm gonna be fine", "perché sarò libera e starò bene". "Maybe not tonight", perché Florence è realista e lo sa che le catene non le spezzi solo con la buona volontà ma, se il miracolo della trasformazione è cominciato, nulla lo potrà fermare.
Continua solo a pensarti libera, SEMPRE.
Grazie, Florence, per averlo ricordato e, chissà, forse arrivederci a Milano a fine agosto.
Se ve la siete persi a 'sto giro, per la prossima data italiana (che, tra l'altro, cade pure di venerdì) non avete più scuse.



sabato 9 febbraio 2019

Finalona sanremese 2019 (focaccia ligure inclusa)

Se, quando avevo venti-venticinque anni ed ero tutta pane & Nirvana, mi avessero detto che mi sarei ritrovata vent'anni dopo ad organizzare un sabato sera a casa mia per guardare Sanremo con alcuni dei miei amici, avrei vomitato.
Per fortuna, invecchiando - e questo è uno dei pochi effetti buoni del tempo che passa -  alcuni di noi, tipo me, si ritrovano ad essere meno oltranzisti e allora vai di Sanremo e di focaccia, ché mangiare insieme rende sempre tutto più bello.
Quest'anno la vera differenza, per me, l'ha fatta il fatto che, come solo raramente è capitato (tipo nel 2014, in cui suonarono The Niro e Riccardo Sinigallia) ci sono artisti che apprezzo e ascolto, tipo Francesco Motta.
Ieri s'è preso una carrettata di fischi dopo aver vinto il premio per il miglior duetto con Nada, che non so perché s'era messa una ENORME croce al collo che neanche una neocatecumenale. A me la canzone non piace tantissimo - cosa strana, di Motta finora mi è piaciuto praticamente TUTTO - e 'sta cosa che è una "geniale" presa per i fondelli della canzone che qualche anno fa portarono sul palco di Sanremo Pupo e altri due scappati de casa boh, non so se l'ha detta lui. Secondo me se la sono inventata i giornalisti che ancora avevano a mente questa dimenticabilissima trashata.



Mi piace tanto il pezzo degli Zen Circus, con tutto che non sono una loro fan (prova ne sia il fatto che non li ho mai visti dal vivo), anche (o forse proprio perché) mi ricorda i recitati di Vasco Brondi e, come ha detto la mia amica Manuela, va venire il magone. Io AMO farmi venire il magone, soprattutto per farmelo passare.


Discorso a parte per Daniele Silvestri e Rancore: pezzo fantastico, disposizione sul palco idem, con la batteria di Rondanini al centro. Rancore mi piace tantissimo, scrive in maniera tosta e intima. Cominciai a sentirlo da quando uno di cui ero innamorata postò la sua S.U.N.S.H.I.N.E., il pezzo con Dj Myke, in bacheca su fb e io, per capire cosa gli passasse per la testa visto che era uno di quei soliti coglionazzi finto misteriosi che piacciono a me, mi misi ad ascoltarlo, scoprendo che era veramente bravo (Rancore, non il coglionazzo).
La versione con Agnelli, anche ieri nella serata dei duetti, mi fa piangere ogni volta che la sento, è potentissima proprio come quel video in bianco e nero che mi ha ricordato tanto "L'odio" con Kassovitz, con quel bus che passa come la vita e spingi corri ti affanni per salire... per andare dove? Mi sono sincerata del fatto che il pezzo piace anche all'unico sedicenne che conosco, un meraviglioso bambino a cui facevo da baby-sitter che è diventato un ragazzo altrettanto meraviglioso.


La vincitrice di quest'anno, comunque, per me ha i capelli blu e tiene gli ultimi brandelli della sua voce graffiante coi denti: è LOREDANONA Bertè.
Il pezzo è bello, il testo mi piace e, santo cielo, "cosa vuoi da me?" io lo urlerei A UN SACCO di gente.
Chi dice che la Bertè non è rock - o non è "vero" rock  - secondo me non ha chiaro che il rock è, in primis, un'attitudine e lei, che ha attraversato mille inferni, di attitudine ne ha da vendere, leggere la sua biografia "Traslocando" per credere, magari ascoltando "Non sono una signora" o "Sei bellissima" a tutto volume.


Questo post è dedicato ad una persona, che non so se legge il mio blog. L'anno scorso l'ho conosciuta proprio in occasione della finale di Sanremo. Attraverso una cara amica comune, mi ha invitato a casa sua per una serata musicale in compagnia e la ricordo simpatica e accogliente, poi ci siamo riviste - sempre grazie all'amica comune - in altre due-tre occasioni. Oggi l'amica comune mi ha detto che per questa ragazza si prepara un momento difficile. Non mollare, cara, e altro che finale di Sanremo: guarisci in fretta e andiamo a ballare tutta la notte solo dark e new-wave, perché noi siamo donne versatili. E forti. Come Loredanona.