domenica 16 giugno 2019

"And I think it's gonna be a long long time": sono andata al cinema a vedere "Rocketman".

Qualche giorno fa sono andata a cercare frescura (si sottovaluta spesso, d'estate, il potere refrigerante delle sale cinematografiche) ed emozioni andando al cinema a vedere "Rocketman", il film che racconta la vita di Elton John con la scelta, insolita, di farlo mentre lui è ancora vivo e vegeto, anzi è addirittura il produttore della pellicola
Premesso che questo post conterrà qualche spoiler, che penso comunque non intacchi la godibilità del film per chi, dopo aver letto, deciderà di andarlo a vedere, metto subito in chiaro una cosa: il regista è lo stesso che ha terminato le riprese di "Bohemian Rhapsody", il film su Freddie Mercury uscito quest'inverno (che ha praticamente avuto due registi ma uno solo - quello diverso - è quello che compare nei credits), ma le due pellicole non hanno nessuna somiglianza.
Non so se "Bohemian Rhapsody" vi sia piaciuto o meno, ha avuto tanti detrattori quanti estimatori. Per me è stato un grande "meh": carino il racconto, travolgente l'energia delle canzoni dei Queen ma, appunto, è un film che narra semplicemente una storia, non lo considero certo tra gli indimenticabili.
In "Rocketman" c'è molto molto di più: c'è immaginazione, c'è poesia, c'è sempre una storia ma è permeata di tanti elementi in cui, anche se non siamo pianisti cicciottelli diventati popstar planetarie, ci possiamo riconoscere. Io mi ci sono riconosciuta, per lo meno, e, davvero, non mi sento in nulla simile a Elton John. O forse sì.
Lasciate perdere se odiate i musical: si canta, benissimo, dall'inizio alla fine e poco importa che le canzoni inserite - come hanno tenuto a precisare i fan duri e puri - non seguano un criterio cronologico. I loro testi, che scorrono tradotti in sovrimpressione, sono funzionali a narrare la vicenda, a riprova che l'Artista VERO è quello che, per creare arte, parte scavando dentro la sua vita e la rende un capolavoro di discese ardite e di risalite, per citare Battisti-Mogol.
Questo film è la storia di un percorso in cui chiunque abbia vissuto o stia vivendo l'esperienza di una psicoterapia (che, con un buon professionista, consiglierei a taaaanta gente) si può riconoscere.
Si parte con Elton John con uno dei suoi costumi megagalattici, che cammina a grandi falcate per un corridoio. Uno pensa: ok, sta per salire sul palco. E invece no, sta per entrare nella stanza della terapia di gruppo. In quella stanza entra col costume, resterà in accappatoio e ciabatte e terminerà in tuta e occhiali "normali", non stravaganti come quelli con cui si è fatto conoscere.


Mascherato - nudo e fragile - vestito comodo, come uno che sta a casa sua: QUESTO è un percorso.
Nel film è continuamente presente l'incontro tra Elton adulto ed Elton bambino. C'è un momento in cui incontra i fantasmi di tutti i personaggi importanti della sua vita: lui da piccolo, la nonna, l'amante, il migliore amico. Ai suoi genitori urla: "Ora dovete stare zitti". Lì ho pianto, non mi vergogno a dirlo, perché pare che nella vita di molti Grandi ci sia stata un'infanzia di merda, con genitori che non ti accettano, che non credono in te, che pensano che sia solo stravaganza quello che qualcun altro, se hai la cazzimma di insistere, vedrà come talento.
Ho pianto anche quando si mostra come, dietro quel sorrisone a 32 denti, quella musica così travolgente, c'era tanta depressione. Mi è venuta in mente quella parte del testo di The show must go on dei Queen, che io considero una delle canzoni tristi più mascherate in canzone energica della storia della musica, che dice: "Dentro il mio cuore si sta spezzando, il mio trucco si sta sgretolando ma il mio sorriso regge ancora".
Del resto, la musica di Elton John è Crocodile Rock ma è anche Rocketman, una canzone dolce e malinconica che dice: "Mi manca tanto la Terra, mi manca mia moglie, si sta soli qui fuori nello spazio, in un volo infinito, e penso ci vorrà tanto tanto tempo prima che l'atterraggio mi riporti nei paraggi per scoprire che non sono l'uomo che pensano io sia".
Non so se dopo aver letto le mie parole vi verrà voglia di vedere il film: io l'ho adorato e va sicuramente nel novero dei musical del mio cuore. Forse non provavo una tale emozione da quando ho visto in sala Lala Land.
Stamattina ho scoperto, tra l'altro, che esiste un video BELLISSIMO, uscito nel 2017, della mia canzone preferita di Elton John, quella Tiny Dancer che ha interpretato anche l'amata dea Florence di Florence + The Machine, che quando canta: "When I say softly, slowly hold me closer, tiny dancer", "Quando dico dolcemente, lentamente abbracciami più forte, piccola ballerina" e cambia tono tra le due frasi, non so perché ma mi fa sempre commuovere.
Partite da qui: ci sono tanti personaggi dentro, persino un cameo di Marilyn Manson, e tutti ascoltano la stessa canzone. Mostri e normali. Scegliete il vostro.





sabato 8 giugno 2019

Metti una sera a "Germi".

Tutti coloro che leggono questo blog sanno quanto ADORI gli Afterhours, quanto siano stati (e siano ancora) importanti per la mia vita, quanto la loro musica mi abbia fatto innamorare (una volta non solo metaforicamente) e costruire (a volte per distruggere) una serie di rapporti e relazioni.
Questo post, però, non parlerà di loro ma di GERMI, il locale che Manuel Agnelli, deus ex machina nonché cantante degli After, ha aperto avendo come soci, tra gli altri, la sua compagna Francesca e il violinista del gruppo, Rodrigo D'Erasmo.
Questo locale si trova a Milano, in una via poco distante dai Navigli ma decentrata rispetto al caos che li affolla di sera (occhio al parcheggio che non si trova, comunque, se non con una discreta botta di culo).


Germi viene dal titolo del primo album in italiano degli After ed ha pure un sotto-nome, "luogo di contaminazione" (del resto, anni fa uscì un dvd degli Afterhours che si intitolava "Non usate precauzioni, fatevi infettare").
Potevo io andare a Milano e non andare a verificare DI PERSONA se i guadagni post X-Factor sono stati reinvestiti bene? Ovviamente no, quindi sabato scorso con l'amica e cognata Laura ci siam buttate per un dopocena alla volta di via Cicco Simonetta, la strada dove si trova il locale. Entriamo e due sorprese: dentro ci sono solo quattro persone (cinque se si conta il barman) ed una di queste è MANUEL AGNELLI.
Faccio la tessera per entrare, che costa cinque euro e per la quale ti chiedono di pre-iscriverti online almeno 24 ore prima di andare nel locale, e mi accorgo che sul banco all'ingresso ci sono le cassettine di Tinals, lavoro di creativi che hanno avuto l'idea di sfruttare gli involucri di plastica dove un tempo si custodivano le musicassette e i loro libretti per farli diventare dei contenitori di mini fumetti. In pratica, tu apri l'involucro e dentro ci trovi, al posto del libretto, una storia disegnata che illustra, in maniera più o meno onirica, una canzone. Ogni involucro appartiene a una canzone diversa e contiene un lavoro di un fumettista diverso. Potevo dire ad Agnelli: "Sai che io ho una Tinals unica, perché anni fa ho partecipato ad una serata in cui Alessandro Baronciani (che è stato pure un ospite di Germi il mese scorso), a costo di farsi venire la tendinite, ad alcuni fortunati prenotati ha disegnato dal vivo una musicassetta su una canzone a richiesta e la mia era "Pelle" degli Afterhours?"



Potevo dirlo e non ho detto niente, anzi, mentre Laura continuava a dire sottovoce: "Dai ma avviciniamoci, diciamo qualcosa", io ho attuato la strategia che ha fatto innamorare milioni di donne: l'ho ignorato. Ho mostrato totale distacco, mi guardavo intorno con la faccia di chi diceva: "Mmh bello 'sto posto, peccato che c'è poca gente", calma e FINTAMENTE indifferente.
Dicevo che questa strategia ha fatto innamorare milioni di donne etero, ché Marco Ferradini "Teroema" mica l'ha scritta per caso... peccato che con gli uomini non funzioni. Passi per stronza e basta, e infatti io sono single da undici anni.
Col barista, che è molto carino ma NON E' Manuel Agnelli, mi sento più rilassata e riesco a ordinare due cocktail dicendo: "Fai tu, scegli una cosa che ti riesce bene". Ci porta due coppe di gin, liquore alla rosa e boh, il resto degli ingredienti l'ho rimosso, con dentro una rosellina, molto graziose da vedersi e anche molto buone (care ma vabbè, pure a Roma non è che la qualità te la regalino).
Continuo a parlare dei libri che ci stanno intorno, di come sia bella l'illuminazione tenue ma calda, mentre Laura mi guarda con uno sguardo del tipo "Guarda che non ti ricapita un'altra volta".
Sarà il cocktail che entra in circolo a sciogliere un minimo gli imbarazzi, ci alziamo e ci avviciniamo al grande juke-box che troneggia nella piccola prima stanza di cui Germi è composto (c'è la parte ingresso, con delle poltrone, un paio di tavolini e il bancone del bar, e la parte dove si suona o si presentano i vari ospiti, con una splendida libreria alle spalle, anzi, a dire il vero, i libri sono meravigliosamente OVUNQUE). Chiedo al barista se funziona davvero e lui mi dice: "Certo, anzi, vi faccio scegliere una canzone". Dalla sua tasca spunta un gettone conservato da chissà chi (i juke-box andavano a gettoni, come le cabine del telefono... lo specifico perché metti che io abbia dei lettori giuovani) e io immediatamente vado con la macchina del tempo della mia mente a un Festivalbar dopo l'altro, quello che con la finale all'Arena di Verona decretava la canzone vincitrice dell'estate in base al numero di ascolti ai juke-box, che erano disseminati in ogni lido e bar che si rispettasse. Ripenso a Josè, il mio primo amore "da grandi", estate 1987, io 13 anni e lui 18. Una canzone che mettevamo sempre al juke-box quell'anno era "Gente di mare" di Tozzi e Raf. Sul juke-box di Manuel Agnelli "Gente di mare" non c'è e del resto, mi sarei pure vergognata come una ladra a metterla (Laura mi dice che la canzone la posso scegliere da sola).
Penso che "The killing moon" di Echo & The Bunnymen sarebbe una scelta di gran classe, Manuel l'ha pure coverizzata e invece no, che cavolo, non facciamo le lecchine e dimostriamo un po' di personalità, mi dico tirando fuori il mio lato Marinellac'è.
Sono giorni che parlo di Rocketman, il biopic su Elton John, e di quanto vorrei vederlo. E' fatta, la mia scelta è conclusa.


Il barman carino infila il gettone, io digito il codice e partono le note. Alle mie spalle c'è qualcuno che canticchia, forse è Manuel, non lo so, Manuel che canticchia la canzone che ho scelto io, non capisco più niente, so solo che sono felice, tanto.
Alla fine, prima di andare via, ad Agnelli ci avviciniamo davvero. Gli diciamo che il locale è molto bello e che ci piacerebbe che ospitassero Cristina Donà e Ginevra Di Marco, che hanno realizzato da poco un bellissimo disco con un crowdfunding a cui ho partecipato.
Manuelone ringrazia, dice che il merito, se il locale è bello, non è solo suo, che Cristina Donà la conosce bene (lo sappiamo, Manuel, LO SAPPIAMO) e che la potrebbe ospitare ma non a breve, perché la programmazione estiva di Germi è già tutta definita.

I Germi della programmazione di giugno.


Io gli chiedo se i concerti nel locale iniziano davvero alle 21 come è scritto e lui mi dice che sì, più o meno, perché puntano a non chiudere le serate più tardi di mezzanotte (praticamente il mio sogno da lavoratrice che la sera vorrebbe uscire invece di collassare in vista della sveglia all'alba del giorno dopo). Gli dico che Hugo Race, che suonerà tre giorni dopo a Germi, io l'ho visto in concerto a Roma pochi giorni prima e che è stato davvero molto bravo. Ometto di dirgli che ho iniziato ad ascoltarlo non perché musicista per Nick Cave (ANCHE per quello) ma perché me lo ha fatto conoscere, indirettamente, proprio lui, quando sono saliti insieme sul palco di "Songs with other strangers" nel 2010 al Palladium. Chissà, magari gli avrebbe fatto piacere saperlo ma ormai non gliel'ho detto, pazienza, magari un giorno passerà da questo blog e lo scoprirà.
Io e Laura ce ne andiamo, lei c'ha l'adrenalina a mille e io pure, cammino come su una nuvola nella calda notte milanese, e penso che Germi mi piace tanto perché mi ricorda un posto: mi ricorda CASA MIA.
Su un divanetto c'era persino un vecchio numero di XL, il mensile di Repubblica che ormai esiste solo come pagina fb, con in copertina Lou Reed. Lo avevo salvato proprio pochi giorni prima e messo in bella vista sulla mia libreria, che è il punto nevralgico della mia casa (anche perché, oltre, a quella, può contenere molto poco altro). Vi lascio con qualche foto della mia casa. Ecco, Germi non l'ho fotografato ma è proprio così. Se vivete a Milano o vi trovate di passaggio, una visita gliela dovete. Io scrivo e nella playlist che ho in sottofondo arriva "To wish impossible things" dei Cure... ma l'impossibile, alla fine, non è solo quello che non proviamo a fare, citando lo slogan del Meeting del Mare 2009 dove suonarono proprio gli Afterours? Chissà... se il contagio si espanderà fino a Roma, io sono pronta.