giovedì 31 dicembre 2020

Chè non lo posso sopportare questo silenzio innaturale: addio 2020.

Stamattina prestissimo, sui mezzi in direzione lavoro mentre un'alba bellissima sorgeva, pensavo al fatto che molti, stasera, brinderanno con l'idea di allontanarsi a gambe levate da questo anno che, senza ombra di dubbi, per il mondo intero è stato un autentico anno di merda.

Servirà, forse, urlare insulti liberatori contro il 2020 affacciati dalle finestre delle nostre case ma, ancora di più, credo possa servire a ciascuno di noi provare a trovare dei momenti, piccoli o grandi, di bellezza e di gratitudine. 

Come cantava Leonard Cohen in "Anthem": "C'è una crepa in ogni cosa ed è da lì che entra la luce". Penso che la sfida che questo anno ci sta proponendo, come ogni situazione complicata fa, sia individuare da quali crepe è riuscita ad entrare un po' di luce nella nostra vita anche in questi 366 difficilissimi giorni.

Io ci ho provato.

IL MOMENTO: 

Fuori esplodeva la primavera, che credo mai come quest'anno ci è sembrata calda e invitante come ogni cosa proibita, e la maggior parte di noi era obbligatoriamente chiusa in casa da settimane. Ne hanno parlato tutti i tg come di una peculiarità tutta italiana in questa pandemia mondiale: si cantava dai balconi o dalle finestre, c'era questo appuntamento virtuale in cui qualcuno intonava una canzone, la maggior parte delle volte attingendo dal repertorio nazional popolare italiano, e i vicini seguivano a ruota. Una mattina, tutte le principali radio italiane hanno deciso di trasmettere alla stessa ora "Azzurro", la canzone di Paolo Conte resa famosa da Celentano. Io ero in videochiamata Roma-Milano con mia cognata Laura, vedevo dallo schermo del cellulare le mie nipotine - che mi mancavano (e mi mancano) tantissimo e che non sapevo quando avrei rivisto - agitare festose una bandierina tricolore e, mentre cantavo insieme a Laura cercando di farci coraggio, mi sono accorta che avevo un nodo in gola e tanta voglia di piangere perché "e allora io quasi quasi prendo il treno e vengo, vengo da te" era diventato solo un'utopia. A volte, abbiamo bisogno di perdere qualcosa che davamo per scontato, tipo la libertà di prendere un treno e partire, per capire quanto siamo stati fortunati a poterlo fare tante volte. Da quel giorno, il treno qualche volta l'ho preso ancora ma sempre meno di quanto avrei desiderato.


LA NOVITA':

Un artista che mi ha fatto tantissima compagnia in queste numerose giornate (e serate) di solitudine è stato Nick Cave. Il lancio a sopresa, ad aprile, della sua "Bad Seed Teevee", un canale completamente gratuito con migliaia di ore di girato relativo alla sua ultraquarantennale carriera e al suo repertorio, accessibile 24 ore su 24 via You Tube, mi ha aiutato a riempire decine e decine di momenti in cui il silenzio si faceva troppo pesante. "Hollywood" è la canzone che, ogni volta che passava in video, dovevo fermarmi ad ascoltare, qualsiasi cosa stessi facendo. La storia di Keesa, che gira di villaggio in villaggio alla ricerca di una casa dove non ci sia mai stata una perdita perché solo quando la troverà il suo bambino malato si salverà, mi strappava il cuore eppure riusciva stranamente a consolarmi o, per lo meno, a farmi piangere fino a togliermi ogni pensiero.


LA MOSTRA:

Mi sembrava un'estate in nulla paragonabile a quelle del passato, che improvvisamente si sono rivestite di luce mitica, finché non ho deciso di partire per Ancona, partecipare alla due giorni musicale "La mia gnerazione" ed andare a visitare la mostra di 300 foto di Letizia Battaglia. Doveva arrivare ad 85 anni, la Battaglia, prima che conoscessi la sua vita e le sue opere ma mi sono talmente innamorata che adesso potrei scrivere la sua biografia. Se vi va di conosccerla meglio, è accessibile la visione del documentario "Letizia Battaglia: Shooting the Mafia" in streaming.


LA SERIE:

Mai stata appassionata di serie, l'ultima che avevo visto per intero è stata "Lost" intorno al 2005... ma poi è arrivata la mia amica Marianna a dirmi che su Amazon Prime - di cui scrocco impunemente talvolta utilizzo la password - avevano caricato la prima delle tre serie disponibili in Italia di "The handmaid's tale", in italiano "Il racconto dell'ancella", tratto dall'omonimo libro di Margaret Atwood che avevo letto l'anno scorso e che ho amato moltissimo.

Imperdibile, riuscirà a farvi pensare che il mondo in cui viviamo non è il peggiore dei mondi possibili, specie se, come l'anno appena passato ci ha drammaticamente insegnato, smettiamo di dare per scontati libertà e diritti di cui godiamo e continuiamo ad impegnarci per difenderli e custodirli.


I LIBRI:

Nell'anno in cui la vita sociale di tutti, inclusa la mia, ha subito un drastico ridimensionamento, i libri sono stati davvero i miei migliori amici. 

Credo di non aver mai letto tanto come quest'anno. Da tutta la saga in quattro volumi de "L'amica geniale" di Elena Ferrante a "Scheletri" di Zerocalcare, ho sofferto, gioito, amato per interposta persona. 

Quanto aveva ragione Umberto Eco quando scriveva: "Chi non legge, a settant'anni avrà vissuto solo una vita: la propria. Chi legge avrà vissuto cinquemila anni: c'era quando Caino uccise Abele, quando Renzo sposò Lucia, quando Leopardi ammirava l'infinito... perché la lettura è un'immortalità all'indietro". Io, sicuramente, al novero delle mie "amiche geniali" in carne ed ossa posso aggiungere dopo quest'anno i personaggi di Lila e Lenuccia.


I CONCERTI:

La pandemia avrà anche lievissimamente riequilibrato i danni all'ecosistema nei mesi del lockdown duro ma ci ha tolto una bella e ricca porzione di ossigeno, privando dei concerti me e gli altri appassionati di musica dal vivo. Concerti sudati, in cui ballare, cantare e scatenarsi come quello degli Editors, che era solo 10 mesi fa e sembra appartenere ad una vita passata da un pezzo, ma anche concerti più intimi, tutti seduti e distanziati ma in cui era percepibile a occhio nudo la commozione di essere tutti insieme, occhi negli occhi, come è stato nei due più emozionanti a cui sono riuscita ad assistere prima che finisse di nuovo tutto: quello di Diodato e quello di Vasco Brondi.

Ripenso in particolare a quello di Diodato, dove sono andata da sola, una domenica sera d'estate quando la vita di prima timdidamente tornava a riaffacciarsi, penso a me seduta sulla pietra delle gradinate della Cavea, piacevolmente calde perché ci aveva battuto il sole per ore fino a poco prima, penso a me che ascolto per la prima volta "Essere semplice" e mi commuovo perché sembra proprio scritta per me, ripenso alle immagini dei telegiornali che mostravano le città deserte in cui dai balconi in primavera le persone cantavano fortissimo le parole di "Fai rumore" e davvero mi auguro che quel silenzio innaturale di cui parla il pezzo serva a fare spazio al sentimento della gratitudine per tutto quello che abbiamo ricevuto comunque di buono e alla speranza che ancora del buono ci sia. La speranza non è certezza ma è sempre meglio della disperazione e allora, per il 2021, mi impegno a sperare... e costruire, possibilmente in buona compagnia.





lunedì 14 settembre 2020

"Abbiamo perso, abbiamo stra-perso ma abbiamo ancora la forza per andare avanti": seconda e ultima giornata de "La mia generazione" (Ancona, 13 settembre 2020)

La due giorni anconetana mi ha lasciata contenta, dolcemente malinconica ma completamente senza forze: ho camminato con temperature equatoriali e quella dannata borsa sempre troppo piena cercando di vedere tutto il vedibile, non solo del festival ma della città. Mettici pure 8 ore di treno della speranza e un letto troppo morbido ed ecco che stamattina, quando è suonata la sveglia prima di correre in stazione per tornare a Roma, ero completamente in coma, tanto che mi chiedevo cosa fosse quel suono fastidioso che mi arrivava all'orecchio sprofondata nel letto morbido.

Il festival è stata una gran bella esperienza. Dubito che il direttore artistico Giovanardi possa mai leggere le mie parole ma avrei un appunto migliorativo da fargli: caro Joe, come ti chiamano tutti, splendida idea mettere insieme un cast così vario ma così ricco di qualità, apprezzabile tutto l'impegno - visibilissimo - a far sì che ogni cosa, dai live agli streaming su internet, andasse bene anche in questi tempi in cui è difficile pure organizzare un picnic al parco ma l'anno prossimo NON LA TIRATE PER LE LUNGHE!

Ieri sera siamo stati in teatro dalle 20 a mezzanotte e mezza e, fidati, per degli ultraquarantenni è veramente TROPPO, specie se il giorno dopo è lunedì. Al pòro Ghemon, a cui è toccato chiudere il festival, a momenti serviva un defibrillatore per capire se le persone che ancora non avevano lasciato la sala, ormai già parecchio svuotata di presenze, erano vive o morte. Tranne che per alcuni ragazzi che conoscevano le sue canzoni e si son buttati nella prima fila ormai mezza vuota per fargli sentire un po' di calore. non l'ho invidiato per niente. 

Le tre esibizioni della serata - Capossela, Brunori, Ghemon - erano ben calibrate, ognuna della durata di 45 minuti, ma che senso aveva, tra l'una e l'altra, proiettare su un telo la replica delle interviste del giorno prima, tra l'altro facilmente recuperabili online? Quelli erano i momenti in cui vedevi la sala svuotarsi: chi andava in bagno, chi a fumare, tutti gli altri, nel buio, guardavano gli schermi brillanti dei cellulari. Se proprio si voleva creare un momento di raccordo che consentisse, allo stesso tempo, il cambio palco, si poteva dare più spazio al bravo Massimo Cotto, giornalista musicale che conosce millemila aneddoti accumulati nella sua lunga carriera e che sa come raccontarli piacevolmente.

A parte questo piccolo appunto, la serata è stata super gradevole. Capossela era accompagnato dal bravo Alessandro "Asso" Stefana alla chitarra e ha messo su un set ovviamente più smilzo di quelli a cui ha abituato chi lo segue, fatto di molte parole, che mi ha ricordato le dirette con cui ha tenuto compagnia a tanti di noi, la sera su facebook, durante i giorni del lockdown. Si è chiesto cosa possa aver portato persone come Kerouac, come Jeff Buckley, che sembravano voler prendere la vita a morsi, a fare scelte che li hanno condotti alla tomba. La risposta è un mistero; forse alcuni sono chiamati ad incarnare, in quella fame di vita che hanno manifestato nelle loro opere, le debolezze dell'uomo, a dare corpo e voce anche agli incubi, alla parte oscura, della loro generazione.

Brunori ha scherzato tanto come sempre, ha detto che lo hanno invitato al festival perché credevano fosse del '65 quando, invece, lui è del '77, era felice di essere lì e si vedeva. Accompagnato da moglie ai cori e a strumenti vari e da una violinista, ha suonato con un'energia e un amore grandi che hanno tirato giù un sacco di applausi e a me pure le lacrime, anche se avevo una paura tremenda a soffiarmi il naso perché poi tutti si sarebbero girati verso di me, spaventati della mia produzione di droplet.

Ghemon è bravo, specie quando spinge sul soul, e, per quanto è bravo, fin troppo modesto. So che ha passato dei momenti difficili a livello personale, gli auguro di acchiappare la fama che merita fin da quando conobbi la sua musica grazie a "Ossigeno", la trasmissione Rai dell'impareggiabile Agnellone.


Non c'entra niente con il festival ma vi lascio con un consiglio: se avete tempo, modo e curiosità, non perdetevi la mostra di 300 foto "Letizia Battaglia- storie di strada", all'interno della Mole fino al 15 gennaio 2021. E' talmente bella e appassionante, arricchita da filmati che aiutano a capire meglio la storia di questa donna dallo sguardo straordinario, ultra-ottuagenaria eppure lucidissima, che avrei voluto passarci dentro molto più tempo delle misere due ore concesse dal museo (le impiegate, gentilissime, mi hanno detto che sarei potuta ritornare nel pomeriggio ma avevo troppe cose ancora da vedere e non mi era più di strada).

La mostra si sviluppa non cronologicamente ma per temi, è illuminata splendidamente e, cosa non banale, i pannelli che indicano i titoli delle foto non hanno bisogno dell'egittologo per essere decifrati.

C'è una sala, la chiamerò "la sala delle bambine", che ha dentro un'energia incredibile, si potrebbe rimanere un'ora solo lì, in mezzo a tutti questi occhi che ti guardano e ti raccontano una storia che non saprai mai se è quella vera ma, sicuramente, è quella vera PER TE.



Ha scritto la Battaglia: "Le bambine sono io a cercarle, con molta emozione: quando incontro la ragazzina imbronciata, sulla soglia dell'adolescenza, magra, con le occhiaie, i capelli lisci, sono io. E quando la fotografo è come se facessi un incontro di bambina con bambina". 

Non è emozionante?

Una foto, però, fra tutte, mi ha colpita. Ho sbagliato a non segnarmi il titolo, anche perché non la ritrovo più, io ricordo "La svampata" o "La sfiammata" ma su Google non trovo nulla.

Mi ha ricordato una delle scene che chiudono il secondo episodio de "L'amica geniale": Lenuccia va a trovare Lila, che fa un lavoro modesto in un posto di merda. Lenuccia si è laureata a pieni voti, le pubblicheranno un libro mentre Lila il suo genio lo ha seppellito in una vita grigia e sacrificata. Lenuccia le ha portato, dopo averlo ritrovato tra le carte della maestra Oliviero ormai morta, "La fata blu", il libro che Lila aveva scritto mentre era alle scuole elementari, col sogno di diventare un giorno anche lei una scrittrice, magari come l'amata Luisa May Alcott di "Piccole donne". Lenuccia, nella sua ingenuità e, chissà, forse anche con un po' di sadismo, pensa possa far piacere a Lila riavere il suo libro. Non è così. Lila quel libro lo brucia mentre la sua amica si allontana, ognuna alla vita che ha saputo costruirsi. 


Impossibile non commuoversi di fronte a un sogno che diventa cenere e diventa cenere perché TU lo butti nel fuoco. Letizia Battaglia, in questo, è stata una grande: ha saputo andare OLTRE la vita che gli altri - famiglia d'origine, marito, contesto sociale - si aspettavano da lei e il suo sogno di raccontare è arrivato, sotto forma di foto, fino a noi.



domenica 13 settembre 2020

Creo gli anticorpi contro i cattivi penseri: prima giornata del festival "La mia generazione"(Ancona, 12/09/2020)

 L'avrei voluta un po' diversa, questa fine di sabato in trasferta ad Ancona. Il commento di più di un amico é stato: "Ma che ci vai a fare ad Ancona? Ad Ancona non c'è NIENTE". A ben guardare, invece, ad Ancona qualcosa c'é, per lo meno nel weekend tra la giornata ormai finita e quella che sta per iniziare: il festival "La mia generazione", che si svolge qui da tre anni e di cui é direttore artistico Mauro Ermanno Giovanardi, ex La Crus che proprio tre anni fa avviò un progetto di riscoperta degli anni '90 musicali più belli in Italia, quelli, per intenderci, del suo vecchio gruppo ma anche di Afterhours, Marlene Kuntz, Scisma, Subsonica... insomma, la MIA  generazione, per davvero. 

Dico che avrei voluto una conclusione di giornata diversa perché alla Mole, dove si é svolta l'intera giornata di oggi, si sta tenendo un dj set con Carlo Chicco, un tipo che non conosco ma che amo a prescindere perché sulla sua pagina professionale ha diecimila foto con tutti artisti che mi piacciono ma almeno mille di quelle foto sono con Manuel Agnelli ❤️ Io, però, sono partita sola e sfatiamo un mito: se parti sola, sola resti e sola torni. Sono una donna emancipata ma ancora non abbastanza per andare senza nessuno in un posto dove, presumibilmente, si muoverà il culo. Un amico mi ha detto che é perché siamo in Italia, all'estero si fa amicizia più facilmente, ma secondo me mi voleva consolare del fatto che, evidentemente, nonostante le mie buone intenzioni, vado in giro con l'aria incazzata da rottweiler e le persone si intimidiscono. Eccomi allora a scrivere seduta sul letto del b&b, con l'ipad sulle ginocchia e, a fianco, la carta di una merendina trafugata dal buffet della colazione, per integrare la mia cena composta da un vodka lemon e una caramella all'arancia, perché si sa che gli agrumi fanno bene. Stamattina dovevo scendere dal treno e andare di buon passo in Mole a sentire Cristiano Godano dei Marlene, primo ospite della giornata, ma Trenitalia non si smentisce mai quanto a rotture de cojoni e mi ha fatto arrivare talmente in ritardo ad Ancona che non mi hanno fatta entrare all'evento. Lo stesso guardiano che mi ha impedito l'accesso la mattina, a pomeriggio é diventato il mio migliore amico e per l'occasione ha rispolverato pure i ricordi di quando faceva il militare a Roma. Devo avergli fatto tenerezza, visto che per il talk con Vasco Brondi mi sono presentata in Mole PER PRIMA, roba che manco la madre di Vasco Brondi quando il figlio ha fatto la sua prima recita all'asilo😅 La sala scelta per gli incontri del pomeriggio, posta alla fine della mostra delle foto di Letizia Battaglia, che visiterò domani, era un misto tra il claustrofobico e l'intimo ma - come sa chi ha ricevuto i miei imperdibili audio whatzapp - con un'acustica da paura. 

Voi direte: "Che c'entrano Vasco Brondi e Francesco Motta (secondo incontro del pomeriggio) - che son giovani - con la generazione di Giovanardi, che sta sui 50?" Allora, a parte che Brondi ha finalmente ammesso quello che io ho sempre saputo, cioè che si sente più vicino a chi aveva vent'anni nei '90 che ai suoi coetanei, nelle dichiarate intenzioni del direttore artistico c'è  quella di non creare un festival di dinosauri ma di generazioni diverse che dialogano su una comune idea di musica e di bellezza. Brondi e Motta, che non mi stanco mai di ripetere son gli UNICI artisti intorno ai trent'anni che hanno rubato il mio cuore e orecchio di tardona, son stati entrambi magnifici. Tre pezzi ciascuno, più preciso Motta nei suoi ma Vasco sempre emozionantissimo non solo quando fa musica ma anche quando parla, anche perché in grado di appassionarsi e di appassionare su decine di argomenti. Mi ha dato pure una buona dritta per una futura trasferta se evitiamo un nuovo lockdown: andare a visitare Correggio, dove é stata ricostruita la biblioteca di Pier Vittorio Tondelli, scrittore da me (e non solo da me) amatissimo. 



In serata, due concerti veri e propri nello spazio all'aperto al centro della Mole: Lucio Corsi, cantautore giovanissimo (classe 1994, io all'epoca già andavo all'università) che riascolteró volentieri, con un'ottima fan base, un look pazzesco, grande padronanza del palco e canzoni per niente banali. Con la sua band ha eseguito una cover molto bella di "Buffalo Bill" di Francesco De Gregori e mai come stasera mi son ritrovata a riflettere su quel bufalo capace di lasciare la strada segnata, cosa che non é capace di fare la locomotiva.


Hanno chiuso i Perurbazione, band onesta ma che non ho più sentito il bisogno di riascoltare da quando, con una formazione in parte diversa, parteciparono a Sanremo nel 2014. 


Domani tocca a Ghemon, che chiuderà, a Brunori SAS e, soprattutto, all'Artista che più di tutti mi ha invogliata a questa trasferta solitaria: Vinicio Capossela. Spesso, quando ha suonato Vinicio ed io sono andata a sentirlo, si é attivata un'energia "facilitatrice" di imprese ai confini col magico. Chissà se succederà anche stavolta, c'é proprio bisogno di un po' di magia. 


sabato 25 luglio 2020

La gentilezza che ti sa sorprendere (e a volte ti salva): ho ascoltato lo streaming di "Idiot Prayer- Alone at Alexandra Palace" di Nick Cave.


Penso di non aver mai mandato così tanti messaggi privati di condivisione come oggi dai tempi del lockdown ma è sabato, sono da sola e da ieri qualcuno ha caricato su youtube la registrazione INTEGRALE, di un'ora e ventinove, del concerto che Nick Cave ha registrato, voce e piano, all'Alexandra Palace di Londra.
Mi ero lamentata del fatto che lo streaming del concerto fosse a pagamento, venti euro ed era pure registrato, ma qualcuno ha deciso di condividerlo. Qualcuno. Forse ha ragione Sabrina, la mia amica che sostiene che l'utente Noah che ha messo il filmato su youtube possa essere proprio lui, Nick in persona. La qualità audio e video è altissima e poi, la verità, quando mai una condivisone pirata di un artista internazionale, su un canale a diffusione immensa come youtube, è rimasta in rete per più di poche ore?
Questo video, invece, è lì da stamattina, non so per quanto ancora.
Ed è immenso, è bellissimo quello che Nick Cave riesce a fare con la sua sola presenza, un pianoforte e le sue canzoni.
Mi chiedevo: "Ma come fanno le persone ad ascoltare musica di merda quando esiste qualcosa di così bello?" e non si tratta di snobismo, fidatevi.
La mia conoscenza dell'inglese è molto basica, definiamolo un buon inglese scolastico ma nulla di più, quindi molte parole non le capisco al primo impatto ma mi suscitano tali sensazioni, tali emozioni, a volte mi commuovo fino alle lacrime senza capire quasi nulla di quello che sto sentendo, mi sento come forse si sente Lila, uno dei personaggi de "L'amica geniale" della Ferrante, di fronte a quei libri che nessuno le ha fatto studiare ma che l'affascinano, che lei avverte che NUTRONO profondamente il suo cuore e nulla e nessuno potrà tenerla lontano da loro.
Vado a leggermi le parole, c'è il sito ufficiale italiano che cura le traduzioni di tutti i suoi pezzi e scopro che avevo ragione, che ho ascoltato una canzone bellissima e il suo significato mi è arrivato AL DI LA'.
In questo concerto all'Alexandra Palace ci sono un sacco di vette altissime, canzoni che già amavo come "Girl in Amber" o "The Mercy Seat" ma, per me, il capolavoro è l'esecuzione di "Papa won't leave you, Henry", pezzo che arriva terz'ultimo in scaletta.
E' una canzone che dice, tra le altre cose: "Bene, la strada è lunga, la strada è impervia e molti cadono lungo il cammino ma papà non ti lascerà, Henry, quindi non c'è bisogno di piangere".
Viene cantata in un modo così intenso, così drammatico che è impossibile rimanere indifferenti.



Ho pensato ad una persona che conosco bene che lavora nel campo della salute mentale, che mi ha detto che questo lockdown e tutto quello che gli sta venendo dietro, la minaccia continua di ammalarsi, di tornare ad essere rinchiusi, di infettarsi o infettare i propri cari, ha mandato completamente fuori di testa un sacco di persone. Chi stava lavorando al suo "centro di gravità permanente" ma ancora non aveva raggiunto risultati apprezzabili, spesso è finito in psichiatria, o peggio.
Ho pensato che ti serve sempre costruire un "papà interno" che ti dica "lo so che è dura ma, qualsiasi cosa succeda, io non ti lascerò mai".
Nick Cave ha intitolato questo concerto "Idiot Prayer" sicuramente come omaggio alla canzone di "The Boatman's call" con cui apre l'esibizione ma anche in maniera ironica. La preghiera di un idiota, per lui, che è considerato un genio assoluto. E' proprio vero che solo gli stupidi non hanno mai dubbi mentre gli intelligenti si fanno un sacco di domande e, anche nel dolore immenso, sanno condividere e, se serve, scherzarci su.

martedì 21 luglio 2020

We could be "congiunti" just for one day.


Ve lo ricordate quando, a marzo di quest'anno, scattava il momento del flashmob musicale dai balconi e i giornali esteri scrivevano "Ah quanto sò simpatici, questi italiani canterini, che si fanno coraggio intonando note dalle  case in cui sono reclusi per la pandemia?"
Ecco, nei rarissimi momenti in cui ho pensato "Era meglio il lockdown", è bastato questo ricordo a scacciare ogni desiderio malsano di tornare indietro.
Scherzi a parte, sono passati solo 4 mesi da allora ma sembra davvero trascorsa una vita.
I concerti, per come li conosciamo noi appassionati soprattutto di alcuni generi e artisti che prevedono stretto contatto fisico tra fan, per il momento sono sospesi ma, per fortuna, la musica non è finita.
Non credete a chi vi dice che in giro non c'è nulla: non c'è nulla come era una volta (anche se io stessa mi sono trovata in contesti con pochissime regole, in cui evidentemente, per gli organizzatori, i racconti dai pronto soccorso degli ospedali del nord sembravano storie di fantascienza) ma qualcosa si muove, e anche alla svelta.
Io, in dieci giorni esatti, son passata dalla chiacchierata che FRANCESCO MOTTA ha fatto con il giornalista Luca Valtorta nell'atrio esterno al Maxxi, chiacchierata accompagnata da sei pezzi suonati dal vivo voce e chitarra, al concerto di CRISTINA DONA', con una band di ben SEI elementi, che in una delle piazze storiche di San Benedetto nel Tronto, nelle Marche, ha portato uno spettacolo che lei stessa ha ricordato essere stato creato, ormai quattro anni fa, in occasione del festival toscano "Fabbrica Europa". A lei - e al suo batterista Cristiano Calcagnile, autore di tutti gli arrangiamenti - gli organizzatori avevano chiesto di ideare uno spettacolo che raccontasse, attraverso una serie di pezzi propri e altrui, il rapporto dell'uomo con l'elemento acqua.
Ne è venuto fuori un concerto bellissimo, con una serie di chicche che - incredibile ma vero - in questi tempi in cui tutto viene ripreso e messo in rete non si trovano nemmeno su youtube e possono rivivere solo nei ricordi e nei racconti di chi c'era.
Cercando "Cristina Dona' scaletta seasongs", mi sono imbattuta in un vecchio post su fb scritto proprio dalla Dona' e risalente al 2016. Nei commenti, la ringraziavo della scelta delle splendide canzoni e le suggerivo (dannata festa delle medie) di inserire nelle future scalette un pezzo di Tori Amos, "One Thousand Oceans". La Donà non mi si è filata minimamente e il brano, anche se  ancora penso che fosse adattissimo, non è mai entrato nello spettacolo ma lo stesso ho pensato che il buon Antonellone Venditti quando scriveva "Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano", aveva dannatamente ragione.
In questi quattro anni, non è venuto "Seasongs" a Roma, sono andata io da "Seasongs", evidentemente ci dovevamo incontrare prima o poi, e mi fa sorridere pensare che sono stata ad un concerto che parla (anche) di mare nell'estate in cui più di tutte non si dibatte di quanto siamo riusciti a rendere una schifezza questo pianeta, e quindi anche il mare, coi nostri comportamenti sconsiderati ma di quanta distanza sia necessario tenere tra un ombrellone e l'altro per non infettarsi col coronavirus.
Bella come una regina nera, con la sua camicia e la sua gonna lunga e scura, ma mai veramente e profondamente "dark" perché c'è sempre una luce buona che traspare nelle sue parole e nelle sue note, Cristina Donà e i suoi (ottimi) musicisti ci hanno traghettati in una serata tanto fredda (incredibile pensarlo qui a Roma, col condizionatore acceso da ore) quanto densa.
Solo chi ama la musica davvero, solo chi pensa che la musica gli ha salvato la vita, l'ha resa migliore e più degna di essere vissuta, solo chi nei mesi del lockdown si è commosso e ha pianto vedendo e rivedendo i filmati dei concerti e pensando "E' finito tutto", penso possa capire pienamente la gioia e l'emozione di risentire dal vivo uno strumento amplificato suonare, una voce cantare una canzone amata.
La scaletta riportata nel vecchio post di fb è più ricca di quella presentata a San Benedetto, per esempio di Nick Cave è stata fatta solo una divertente versione di "The weeping song", con Vincenzo Vasi, il suonatore di theremin visto tante volte con Vinicio Capossela, a duettare con Cristina, nei ruoli che nel pezzo originale furono di Cave e di Blixa Bargeld.
C'è stata Weird Fishes dei Radiohead, ci sono stati Nick Drake e l'amato Robert Wyatt, c'è stata "Onda su onda" di Paolo Conte, ci sono state "Goccia", "In fondo al mare" e "Come le lacrime" dal repertorio di Cristina. Lei stessa ha presentato "Come le lacrime" dicendo: "E' un pezzo che facciamo poco". Non lo ascoltavo da tanto anch'io e, anche se l'analogia tra il sale del mare e quello delle lacrime è abusatissima da poeti e autori di ogni epoca, quando è arrivato il ritornello che dice "Oggi rinasce una parte di te, quella più vera, libera di andare dove non c'è più paura", mi sono commossa perché si era stabilita una connessione perfetta tra quello che sentivo e quello che stava succedendo sul palco. Stavo rinascendo, stava rinascendo quella forza che mi fa dimenticare tutte le paure, tutte le viltà, che mi fa andare dove veramente voglio essere.


Il concerto ha avuto una conclusione all'altezza di tutto il meraviglioso tempo precedente: una versione incredibile di "Come è profondo il mare" di Lucio Dalla, in cui Cristina ha sussurrato, ha cantato, ha urlato questa canzone scritta nel 1977, quindi 43 anni fa, ma sempre attualissima come succede solo ai capolavori, a ciò che merita amore e rispetto. Come il mare.



venerdì 29 maggio 2020

Quanto pesa un'etichetta?: il mio primo libro post-quarantena.

Da molti giorni programmo di scrivere questo post ma è stato difficile finora ritagliarsi lo spazio, fisico e mentale, necessario. 
Se, per qualcuno, "fase 2" significa prosecuzione di ritmi casalinghi e vita di quartiere e per altri preoccupazioni legate al futuro, per altri ancora, come me, sta segnando il ritorno ad una vita da criceto impazzito che gira sulla ruota contenuta in una gabbietta che appartiene a un pazzo scriteriato. 
E' orribile? Assolutamente sì.
Non posso andare ai concerti - che per me significa rimanere in debito di ossigeno - . non posso andare al cinema, ai musei sì ma programmandolo con largo anticipo... e poi c'è quella stramaledetta mascherina... Treno forse ma vediamo dal 3 giugno come va, aereo lasciamo perdere proprio. 
Ci sono gli amici ma, se anche prima non è che fosse sempre facilissimo coinvolgerli in qualche attività insieme, ora tutto sembra diventare immensamente più complicato.
Resta, tra i miei grandi Amori, uno di quelli che più di tutti, da sempre, mi fanno compagnia: LA LETTURA.
Nei due mesi in cui gli unici visi cari della mia vita li ho visti nelle videochat ed anche adesso, leggere mi ha aiutato e mi aiuta tantissimo: mi porta da un'altra parte, mi fa ragionare, mi fa provare sentimenti intensi, mi fa conoscere personaggi nuovi che spesso mi mettono in contatto con parti di me stessa che ho bisogno di conoscere meglio.
Anche questa volta, nel mio primo libro post-quarantena, è andata bene, ho incontrato una storia che non può lasciare indifferenti o, per lo meno, per me è stato così.
Il libro di cui parlo è "La vita bugiarda degli adulti" di Elena Ferrante: lo avevo regalato a mio padre per Natale, chiedendogli di prestarmelo quando ci saremmo rivisti. Considerato che, da allora, non ci siamo più incontrati, il libro è arrivato insieme ai cibi del famoso "pacco da giù" che ogni emigrato meridionale conosce.


Con tutto che avevo ripreso a lavorare da pochissimo dopo due mesi di stop, quindi con le sveglie all'alba e tutto il corollario cricetesco, ho letto questo libro in 5 giorni. Me lo portavo ovunque: in bagno, al lavoro nei momenti di pausa, a letto prima di andare a dormire. Questo, per me, già è un risultato splendido: significa che la storia ti ha catturato e che quei personaggi sono diventati un vero e proprio incontro.
In questo romanzo, i personaggi significativi sono soprattutto due: Giovanna, la protagonista, che seguiamo dai 12 ai 15 anni, e sua zia Vittoria.
Non faccio spoiler perché quello che sto per dire è contenuto praticamente in tutte le sintesi del romanzo che si trovano in giro: tutto inizia quando Giovanna, figlia modello di una coppia della Napoli bene, origlia una delle conversazioni tra i suoi genitori. Il padre sta dicendo alla madre che la ragazzina "sta facendo la faccia di Vittoria". Siccome questo personaggio, la zia Vittoria, la sorella del padre, è ammantato da sempre di un alone di cupo mistero familiare, Giovanna si convince che i suoi pensino di lei che è brutta, che è strana, che è indegna di quella famiglia così fantastica.
Con molto coraggio, ad un certo punto prova a chiedere spiegazioni su quel che ha sentito... cosa le dicono? Che non ha capito, che "scherzavano". 
Non so voi ma io queste storie di commenti aggressivi, di una violenza vile perché subdola, camuffata da "sei tu che non hai capito", ne conosco non poche.
La storia di Giovanna mi ha fatto venire in mente una frase che mi ha sempre molto colpita, quella del poeta Danilo Dolci: "Ciascuno cresce solo se sognato".
Giovanna è sognata? E come? Cosa succede se il sogno da cui l'hanno fatta nascere si scontra con la realtà, con quello che lei effettivamente è, non bella o brutta, non giusta o sbagliata, semplicemente "lei"?
Credo sia, questa, una delle sfide più grandi a cui vanno incontro i genitori: amare i loro figli esattamente per quello che sono, senza affibbiare loro etichette in base ai loro desideri e ambizioni.
Qualcuno diceva: "Chiudi un ragazzino in una stanza ripetendogli cento volte al giorno che è stupido, non potrà che comportarsi da stupido".
Il processo di crescita di Giovanna la porterà pian piano a capire che gli adulti sono spesso molto pavidi, pieni di segreti e di non detti.
Qualcuno, come suo padre, prova ad affrancarsi dalla meschinità attraverso la cultura, che è uno dei topos tipici della Ferrante (vedi "L'amica geniale") ma Giovanna capirà che nemmeno quella ti può salvare del tutto dalle tue piccinerie. 
Mentre leggevo, immaginavo la voce ipnotica di Alba Rohrwacher guidarmi tra le pagine, proprio come nella serie tv tratta da "L'amica geniale".
Sarà che in questo periodo sono in fissa con la fotografa palermitana Letizia Battaglia, perché io sono sempre in cerca di modelli interessanti di donne, specie quelle che mi possono suggerire una strada per invecchiare con grazia, ma mi sono immaginata Giovanna e la zia Vittoria come le protagoniste di due celebri foto della Battaglia: la bambina col pallone e Rosaria Schifani, la vedova del carabiniere della scorta di Giovanni Falcone che morì insieme al giudice nell'attentato di Capaci. Non si somigliano affatto o, forse, un po' sì, esattamente come Giovanna e Vittoria.


Perdersi nella loro storia è stato bello e anche un po' terrorizzante: "invecchiare senza diventare adulti", come cantava Franco Battiato ne "La canzone dei vecchi amanti", deve essere terribile ma anche il processo che ci porta dall'infanzia verso l'età adulta, passando per quella fase tremenda - bella solo per chi non se la ricorda bene - che è l'adolescenza, ha bisogno di molta forza e gentilezza e di un adulto che ci insegni che è importante rivendicare il diritto ad essere amati senza maschere.

"Mi sforzai di calmarla ma era come sopraffatta da tutta l'angoscia che provava dall'infanzia a oggi: il padre, la madre, Vittoria, l'incomprensibile urlìo degli adulti intorno a lei, e ora Roberto e quell'angoscia di non meritarselo e perderlo".



venerdì 3 aprile 2020

La più strana delle primavere.

Sono a casa da venerdì 13 marzo, con oggi son tre settimane piene.
Vivo da sola e, da 21 giorni, il mio unico contatto umano non filtrato da uno schermo sono i santi cassieri dei supermercati e le vecchie che incontro in fila mentre cerchiamo di rispettare le distanze imposte e qualcuna blatera di quanto "la guerra era meglio" (sì, certo, come no).
In fila, una volta ogni cinque giorni cioè quando esco, con pochissime eccezioni ci siamo solo io e loro.
Dove sono finiti tutti gli altri?
A volte, passata mezzanotte, apro una delle finestre di casa mia e mi affaccio. C'è un silenzio irreale, se non ci fosse qualche luce nelle case di fronte sembrerebbe di essere rimasti gli unici abitanti della terra. E' spaventoso e, a volte, anche bellissimo. Se riesco a vedere la luna mi commuovo ma, capirai, in questi giorni ci si commuove con tutto, dall'inno nazionale cantato alle finestre alle foto che i miei genitori fanno alle nipotine mentre le guardano crescere da uno schermo senza sapere quando potranno rivederle.
Quando ho avuto piena coscienza del fatto che non saremmo usciti tanto presto da questo incubo chiamato Covid-19 mi son detta: "Se non scrivi sul blog neanche stavolta, non puoi accusare la stanchezza o la mancanza di tempo. Semplicemente - ammettilo - non ti va".
E invece no, mi va perché non sono né - purtroppo - una intellettuale alla NICK CAVE, che ha comunicato, articolando meravigliosamente il suo pensiero come al solito, che vuole sfruttare questo tempo per riflettere e compiere atti di gentilezza verso il suo prossimo né - grazie a dio - 'na rosicona come Mauro Ermanno Giovanardi dei La Crus, che sulla sua pagina facebook ha scritto che non capisce la mania dei colleghi di esporsi a qualsiasi costo con dirette streaming e iniziative varie da casa per accaparrarsi qualche like.
E' vero che molti semisconosciuti stanno organizzando dirette a rotta di collo, della serie "magari ce caschi e mi vieni a sentire dal vivo quando si esce" ma, per esempio, l'immenso VINICIO CAPOSSELA è uno che tutte le sere, in un orario a sorpresa, si collega su facebook per un mini-live di dieci minuti. Siamo in centinaia ogni sera a seguirlo e no, non mi sembra uno che ha bisogno della sua fettina di celebrità rosicchiata quanto piuttosto un buon comunicatore che vuole cucire tra loro col filo dei suoi pensieri le case di chi lo segue e lo apprezza.
Anch'io vorrei unire col filo dei pensieri chi mi legge ma, soprattutto, segnalare qualcosa che, in questi giorni, possa aiutare a tenere compagnia. oltre alle tante chiamate, in voce e video, di famiglia e amici.
Una cosa curiosa che ho notato - non so se è capitato anche a voi - è che, anche ora che siamo quasi tutti a casa, chi non si faceva mai vivo adducendo pretesti di impegno continua a non farlo... e non dite che siete tutti in smartworking a lavorare 16 ore al giorno perché non vi crede nessuno.
Ecco, allora, qualche dritta su cosa mi ha aiutato in questi giorni strani e, presumibilmente, continuerà a farlo. Non troverete suggerimenti su come si fa il lievito di birra in casa o come si intrattengono i bambini, visto che non ero e non sono una buona massaia né una buona tata ma, del resto, credo che questo periodo non contribuirà tanto a cambiarci quanto a farci prendere pienamente coscienza di chi siamo e fino a che punto abbiamo fatto i conti con la nostra vita.

  • un romanzo lungo
Se non vi piace leggere, potete saltare questo punto... ma come fa a non piacervi leggere???
Ho iniziato la quarantena con "E l'asina vide l'angelo", mattonazzo da 420 pagine che Nick Cave aveva dato alle stampe come suo primo romanzo alla fine degli anni '80 e che per lungo tempo, fino a questa ristampa recentissima, è stato introvabile. Non mi è piaciuto, è cupo, tenebroso, infestato di pensieri neri (Nick - non ne ha mai fatto mistero - era schiavo dell'eroina nel periodo in cui lavorava a questo libro) e, allo stesso tempo, estremamente barocco, con descrizioni ultra minuziose, privo di ironia e di qualsiasi forma di redenzione per i suoi terrificanti personaggi. Devo dire, però, che mi ha fatto tanta compagnia, il muto Euchrid protagonista. 



Ora, dopo una breve pausa, ho attaccato un altro mattone, anche se di minore consistenza (siamo a 318 pagine): è "Seme di strega" di Margaret Atwood, l'autrice de "Il racconto dell'ancella" e "I testamenti". Siamo lontani dal capolavoro, per ora sembra semplicemente un libro "riempitivo" ma, magari, deve ancora prendere quota e lo farà nelle prossime pagine. Diamogli fiducia.


  • degli appuntamenti di live streaming con contenuti interessanti
E' ovvio che il concetto di "contenuti interessanti" va dalla ricetta delle zucchine ripiene al tutorial "smokey eyes facile" ma le mie preferenze le conoscete!!!
I mini-live di Capossela li ho già citati prima. Un altro che mi è piaciuto seguire è Paolo Benvegnù, che ha avuto la sfiga di avere il disco in uscita proprio nei giorni in cui iniziava a girare il virus e che mi fa sorridere per come è palesemente a disagio col fatto di suonare da solo a casa sua, con davanti  una telecamera e dietro un termosifone.
Uno che mi ha fatto sorridere davvero di gioia è Francesco Di Bella, cantante dei 24 Grana, che nei giorni scorsi ha partecipato a parecchie dirette. Il suo approccio è stata la dimostrazione di come ogni medaglia ha due facce e, se una è scorticata, devi girarla tu nel verso migliore: invece di piangersi addosso per questo periodo disgraziato o, peggio, fingere un'allegria che è impossibile provare, si è mostrato palesemente contento di avere collegati in diretta un sacco di ascoltatori che, evidentemente, conosce. Salutando a destra e manca tra un pezzo e l'altro, sembrava di stare ad una riunione di amici, tanto che con le mie amiche che erano entrate nel live dalle loro case abbiamo iniziato a salutarci pure noi e a stappare le birre, certe che, prima o poi, quelle birre ce le torneremo a bere DAVVERO assieme.


  • Propaganda
L'appuntamento con Propaganda, il programma di La7 in onda in diretta ogni venerdì alle 21.15, era imperdibile per me già prima della pandemia. Giornalismo e intrattenimento coniugati in maniera intelligente e simpatica stanno riuscendo nell'eroica impresa di andare in onda da 3 settimane (questa sarà la quarta) con dei cartonati di personaggi famosi invece del pubblico e con ovvie restrizioni, creando lo stesso delle puntate ricche di contenuto. Ho smadonnato tutte le volte che dovevo lavorare di sabato - o avevo avuto dei turni troppo massacranti il venerdì - perché non riuscivo mai a rimanere sveglia fino alla fine, per la "Social Top Ten" e i disegni finali di Makkox.... ecco, la mancanza di lavoro (che per me non si sta rivelando una mancanza ma una TOTALE LIBERAZIONE e con questa cosa, prima o poi, dovrò farci seriamente i conti) mi ha risolto il problema e sono in grado serenamente di tirare fino all'una ogni sera.

  • un'attività fisica che ci piaccia veramente
La mancanza di movimento, unita a pasti spesso ricchi di elementi consolatori (il cioccolatino, le patatine, il paninetto farcito, 'na bella spaghettata condita), farà uscire il 90% di noi dalla quarantena rotolando. Io non sono mai stata una gran sportiva ma son passata dagli 8000-10000 passi di prima a una media di 20, infatti mi ha fatto ridere quella vignetta che girava e diceva: "Il tuo contapassi chiede se sei morto".
Ho provato inutilmente ad appassionarmi a tutorial di ginnastica online fino a quando ho scoperto che la mia attività fisica da domiciliari è il ballo.
Metto, che so, "Racing rats" e "Papillon" degli Editors in sequenza e ballo ballo da capogiro, certa che qualche caloria la brucerò o, per lo meno, per dieci minuti sarò con la testa fuori dai 40 metri quadri di casa mia. Certe volte mi tocca fermarmi perché devo alleggerire la tuta, altre perché mi devo asciugare una lacrima che mi rotola su una guancia ricordando i miei amatissimi concerti. 


Da due sabati, uno dei miei contatti facebook organizza un dj set da casa sua, dalle 22.30 a mezzanotte e mezza, e mette proprio la musica che piace a me quando vado nei locali: Rammstein, Nirvana, Cure ed è carino perché non conosco i suoi amici, in verità non conosco nemmeno lui, ma ci ritroviamo tutti virtualmente intorno alla sua consolle a ballare e commentare. Decisamente, ho passato dei sabato sera molto molto peggiori.
  • dei buoni film o contenuti video
Non sono un'appassionata di serie televisive e non ho Sky né Netflix o altre piattaforme video a pagamento. Per fortuna, esistono un sacco di contenuti accessibili gratis, per esempio quelli caricati su Raiplay, su  Mymovies nella sezione Io resto a casa(però ricordatevi di registrarvi prima), sul sito del cinema Post Modernissimo di Perugia o su Sky Arte, che - non so se rispettando il palinsesto o con dei contenuti ad hoc - ha tutto il giorno lo streaming gratuito per il periodo della quarantena.
Io ho visto un documentario su Palermo ed uno sulla fotografa Letizia Battaglia veramente notevoli.
Ovviamente, prima di beccare un film bello ne devi vedere una marea di ignobili (mi dicono sia così anche con gli uomini ma che ne so, non esco con qualcuno da due anni).
L'ultimo che ho visto è uno andato in onda su Rai 2 ieri sera in seconda serata, "The giver - Il mondo di Jonas", che potete tranquillamente rivedere su Raiplay se lo cercate in questi giorni nella sezione "Film drammatici". Al netto di qualche ingenuità, l'ho trovato un film molto carino e commovente... ma, che in questo periodo mi commuovo spessissimo, ve l'ho già detto.


In verità, l'ultimissimo l'ho visto stamattina. E' un documentario di un'oretta circa che trovate su youtube, diffuso ieri in occasione della giornata per la conoscenza dell'autismo. Si intitola "Se ti abbraccio non aver paura", proprio come l'omonimo libro che racconta la storia VERA di un padre che, assieme al figlio autistico,  intraprende un viaggio sulle orme di "Marrakech Express" di Gabriele Salvatores. E' girato bene e ha il valore aggiunto, per me non da poco, di una bella e indovinata colonna sonora.


Se avete qualcuno vicino e ci tenete, correte ad abbracciarlo. Se vivete soli, come me, sapete già che la persona per voi più importante è quella che vi guarda tutti i giorni dallo specchio. Trovate un modo per dirle che le volete bene.



mercoledì 12 febbraio 2020

Qualche buon motivo per ascoltare gli Editors (ed andare ad un concerto anche se siete da soli)

Mentre scrivo, qualcuno, a Milano, si sta preparando spiritualmente per partecipare stasera alla terza delle date italiane degli Editors.
A Milano - non c'è niente da fare - a livello di concerti hanno quasi sempre una marcia in più: oltre al fatto che la location milanese, l'Alcatraz, a dispetto del nome non ha nulla da spartire con quella romana, l'Atlantico, una costruzione sulla Colombo orribile e con un suono solo appena appena più decente di quello del Palazzo dello Sport (essendo parecchio più piccolo, ha il solo pregio di garantire una visibilità migliore, a meno che non si sprofondi totalmente nelle retrovie), per gli Editors i milanesi hanno potuto giocarsela su ben due date consecutive. Noi romani no, una data sola, sold out un mese prima che arrivasse.



Siccome io, nella vita, non ho azzeccato quasi nulla tranne l'organizzazione per andare ai concerti, ero munita di biglietto già da tre mesi. A chi mi diceva: "Ma tu sei così sicura che questi fanno sold out? Non mi pare che li conoscano in tanti..." rispondevo: "Assa fà, hanno in giro un "best of" davvero molto carino e ben fatto. Negli anni, sono stati ospiti al Concertone del Primo Maggio a piazza San Giovanni, hanno fatto un po' di passaggi televisivi in trasmissioni seguite come "Ossigeno" di Manuel Agnelli e, più recentemente, "Propaganda Live" su La7 (anche se lì, pur adorando la trasmissione, ricordo che furono liquidati in maniera tristemente rapida), hanno suonato prima dei Cure nell'ultima edizione di Firenze Rocks. Vedrai che andrà bene".
E infatti è andata benissimo.
Il palazzetto era strapieno, temperatura da fornace atomica, pubblico non troppo giovane - evidentemente i loro suoni catturano prevalentemente i nati tra i '70 e gli '80. Purtroppo, anche se eravamo in prevalenza "over", 'sto cazzo di viziaccio di impallare la visuale altrui coi propri maledetti smartphone per riprendere e fare foto purtroppo non si perde.
Il segreto per dimenticarsi 'sti  poràcci affamati di condivisioni che non si calcolerà nessuno?
Chiudere gli occhi e BALLARE.
Dio, quanto ho ballato lunedì... perché, se è vero che i suoni degli Editors sono cupi, quanto sono trascinanti pezzi come "Papillon", forse il loro brano più famoso, o "A ton of love" con quel grido, "Desire", che non sentivo così intenso dai tempi in cui lo scandiva Bono Vox nell'epoca d'oro degli U2?




Il cantante Tom Smith è bravo e pure figo, se ti piacciono, come piacciono a me, i magrolini col vocione, e la band gli va dietro alla grande. Tutti i presenti, all'uscita, in particolare elogiavano il batterista, che ha fatto un lavoro egregio. Vedevo che sulle casse avevano posizionato un pupazzetto, poco più grande della sorpresa di un uovo kinder: da dove ero io sembrava un mini-gladiatore ma chissà...
Lunedì sera stava piovigginando ed io ero sola, coi mezzi e senza ombrello - hai visto mai non me lo facessero passare ai controlli.
Mentre mi dirigevo in questo posto allo sprofondo, dove avrebbero tenuto il concerto, maledicendomi per come mi vado a buttare in queste situazioni del cavolo ("e sei sola, e non sai come tornare, e non hai i soldi per il taxi...") cercavo conforto intrattenendomi in chat con gli amici che sapevo che mi avrebbero incoraggiata, facendomi sentire un po' meno folle nella mia idea di sfidare distanze, solitudine, maltempo, TUTTO pur di arrivare al mio scopo: la musica dal vivo!
Scesa dal terzo mezzo, l'ultimo, con cui sarei arrivata all'Atlantico, piano piano ho sentito che mi cresceva dentro l'adrenalina, però non più quella dell'ansia, quella del "ma chi me l'ha fatto fare" ma quella di chi sta andando incontro ad una situazione che ama, contro ogni pallosissimo buon senso, che avrebbe imposto di stare a casa con plaid e tisana in una serata così.
Mi sentivo CORAGGIOSA, io che ho paura di guidare, di nuotare, cambiare lavoro, di non innamorarmi più. Sono entrata all'Atlantico e dieci minuti dopo, puntualissimi, gli Editors hanno cominciato con "An end has a start", una canzone che dice "Non penso che oggi pioverà ancora. C'è un diavolo al tuo fianco ma sta per arrivare un angelo. Qualcuno accenda la luce perché qui ci sono molte più cose da vedere. Quando hai catturato il mio sguardo, ho visto ogni luogo nel quale andrò e voglio andare. Sei arrivata da sola e così te ne andrai, con la speranza nelle tue mani e aria da respirare".
Due ore dopo di concerto , ero fuori e in meno di un'ora, sola, coi mezzi, di sera, ero a casa. Con la speranza nelle mani, aria da respirare e la possibilità di dire: "Anche stavolta è andata bene".


domenica 12 gennaio 2020

Eravamo tutte Jo March... e poi?

Come nell'anno di "Lalaland", in cui non mi ricordo che cosa è successo nella mia vita in quel periodo ma mi ricordo che, di sicuro, ho iniziato l'anno cinematografico vedendo "Lalaland", volevo che il mio primo film del 2020 in sala fosse bello, da ricordare, magari che mi facesse venir voglia di scrivere perché il pensiero magico impone che, se la prima cosa che fai in un campo che ti piace (e a me andare al cinema piace tantissimo) ti soddisfa, tutti i mesi a seguire ti daranno uguale, se non maggiore, soddisfazione. Sono stata accontentata: il mio primo film dell'anno 2020 è stato "Piccole Donne" di Greta Gerwig, un film SPLENDIDO. Sono arrivata al botteghino e in sala c'era rimasto UN SOLO posto libero. Mi son detta: "E' un segno, quel posto è mio". Dopo, all'uscita, mi è venuta voglia di chiamare non so quante amiche, vicine e lontane, per dire: "Andate a vederlo, è favoloso", ma mi sono ricordata che è domenica sera e, forse, le persone hanno altro da fare, allora ho mandato solo un messaggio ad una di loro... ma questo post potrete leggerlo comodamente quando volete!


Premetto che questo post conterrà SPOILER ma chi non conosce la vicenda delle quattro sorelle March, Meg la romantica, Jo la ribelle, Beth la dolce, Amy la smorfiosa?
Io ho passato i 40 anni da un pezzo, anzi quest'anno divento pure più vicina ai 50 che ai 40 (che paura) ma ricordo come se fosse ieri il momento in cui i miei genitori, nell'estate dei miei 10 anni, per farmi vincere la noia che funestava tutte le mie estati di quell'epoca, mi diedero il permesso di comprare un libro da un signore che vendeva volumi per bambini su una bancarella in una piazzetta a Termoli, vicino dove i miei andavano (e vanno ancora) in vacanza. Scelsi "Piccole Donne", non so se attirata dalla copertina, dal titolo, dal fatto che qualche amichetta a scuola potesse avermene parlato. Scelsi "Piccole Donne" e mi innamorai perdutamente. L'ho letto e riletto mille volte allora e fino all'adolescenza, ricordavo a memoria interi capitoli, uno che mi piaceva tantissimo era "Meg va alla fiera delle vanità", forse perché a me, di vanità, già da allora ne era concessa zero.
La mia eroina, però, come poi - confrontandomi con tante ex bambine lettrici - ho scoperto era praticamente per tutte, era Jo, la secondogenita. Jo che vuole fare la scrittrice, Jo vulcano in eruzione, Jo "causa persa" per l'acida zia March (che, però, le lascia in eredità la grande villa dove fonderà una scuola innovativa) dal carattere pieno di spigoli ma dal cuore d'oro, Jo che dicono non sia bella solo perché è troppo avanti per i suoi tempi e infatti, negli anni, il cinema le ha reso giustizia, lasciando che a interpretarla fossero attrici non solo brave ma anche belle, di bellezza poco convenzionale ma sicuramente super affascinanti, come la mia amata Winona Rider negli anni '90 e ora lei, Saoirse Ronan, un turbine di capelli arruffati e meravigliosi e due occhi e un piglio che la rendono indimenticabile rispetto alle altre protagoniste del film, tutte belle e bravissime nei loro ruoli, ma noi, noi ex bambine lettrici, noi amiamo solo Jo.


Il film è costruito con la tecnica del flashback, la narratrice è, ovviamente, Jo ed ha dalla sua fotografia, luci e costumi meravigliosi, oltre alle ottime interpreti, che ho trovato tutte molto credibili nell'impersonare quelle eroine che, in quell'estate dell'84, ancora non avevano un volto cinematografico per me ma che io immaginavo nei minimi dettagli, perché il racconto che ne ha fatto Louisa May Alcott nel 1868 era costruito così bene che le scene te le vedevi davanti agli occhi una ad una, mentre leggevi.
A proposito dei costumi, è rispettata la tradizione che Jo ha sempre qualcosa di rosso (in questo film anche bordeaux) con sé, perché i colori parlano, come mi piace pensare che capiscano quelli che vedono i miei vestiti quasi sempre neri o, comunque, scuri e la mia casa, invece, tutta colorata.


Jo ha sempre qualcosa di rosso tranne nei momenti del grande dolore, come quando muore Beth o quando è costretta a buttare la lettera che ha scritto a Laurie per dirgli che sì, ok, se lui le chiede un'altra volta di sposarla lei gli dice sì ma ormai è tardi, Laurie è tornato dall'Europa già sposato con Amy. Povera Jo, come faccio a non amarti, tu che sbagli sempre i tempi...
Amy, nel primo libro di "Piccole Donne", è la sorella meno simpatica, la piccolina viziatella ma "Piccole Donne" è, in realtà, una quadrilogia e dal film viene fuori una Amy che, col tempo, matura e tira fuori un acume ed un'intelligenza insperati, nonchè l'onestà di ammettere che vivere all'ombra di quella sorella maggiore così brillante e sicura di sé le è sempre pesato tanto.
Confesso che io, gli altri tre libri che completano la storia, non li ho mai voluti leggere perché (anche questo lo ricordo come se fosse ieri) la mia compagna di banco delle elementari, dopo che le parlai di questo libro meraviglioso che avevo letto durante l'estate, mi disse che la sorella maggiore, che andava già alle medie, aveva anche gli altri libri di "Piccole Donne" e che la storia non finiva come credevo io. Mi disse che Beth moriva e che Laurie non sposava la sua vecchia amica Jo, con cui stava benissimo e si divertiva da matti, ma Amy mentre Jo si sposava ormai già grande con un vecchio professore tedesco. No, cazzo, potevo passare sopra pure alla morte di Beth ma che era 'sta storia che Jo non si sposava con Laurie ma col vecchio? Vi giuro, una rivelazione che mi arrivò come una pugnalata del tipo "Babbo Natale non esiste" (cosa che, tra l'altro, io già sapevo benissimo perché, come scrissi anni fa in un vecchio post, i miei ci avevano detto da piccoli che i regali non li portava affatto Babbo Natale, che era finto, ma Gesù Bambino, che invece esisteva).
In questo film Jo si prende una doppia rivincita: la prima è che, per la prima volta da che io ricordi nei vari adattamenti cinematografici o a cartone animato, il professore tedesco non è un vecchio colto ma poco attraente ma quel gran figo francese di Louis Garrel.


L'altra rivincita è che il personaggio gioca, in un dialogo col suo editore dopo che finalmente sta per vedere pubblicato il suo primo romanzo, col fatto che sposarsi sia, più che altro, un artificio per dare il classico "happy ending" anche ad un'eroina che di classico non ha assolutamente nulla, specie se ci ricordiamo che questa storia è stata scritta nell'800. Eppure, in un momento in cui Jo parla con la madre ed io ho consumato almeno mezzo pacchetto di fazzoletti, la nostra beniamina lo dice chiaro chiaro: "Il fatto è che io sento che le donne hanno una mente e hanno anche un'anima, così come un cuore, e hanno delle ambizioni e hanno talento, non solo la bellezza. E sono così stanca delle persone che dicono che l'amore è l'unica cosa a cui posso aspirare, sono stufa di sentirlo... ma sono anche tanto sola..."
Quando ero alle medie, avevo - credo - circa 12-13 anni, la mamma di una mia compagna di scuola, una domenica in cui salìì a casa sua, disse a me e alla figlia: "Se posso dirvi una cosa che ho imparato negli anni è che prima dovete fare tutto quello che avete voglia di realizzare nella vita: studiare, viaggiare, divertirvi, imparare cose nuove, e solo dopo potrete pensare a sposarvi e fare le mamme". Mi sembrò un concetto molto interessante e rivoluzionario e lo riferii a casa mia. La risposta di mia madre fu: "Bisogna vedere chi ti vuole ancora, dopo che è passato tutto quel tempo". Mamma, forse avevi ragione, perché nel romanzo della mia vita io son rimasta a vivere da sola e non è la prima scelta che avrei voluto quando avevo vent'anni e mi immaginavo "da grande" ma, mi dispiace, più di te aveva ragione la mamma di Maria Domenica, la mia compagna di scuola delle medie, perché, come dice la signora March, la mamma delle quattro sorelle, nel film, "meglio essere una felice zitella che un'infelice moglie o una sciocca signorina che corre in giro a cercarsi un marito". Che, magari, un giorno capirà pure da che parte soffiare via la polvere dal cassetto dei suoi sogni più antichi e veri.

lunedì 6 gennaio 2020

L'anno del VORREI

"Stamattina all'alba, mentre correvo al lavoro e ancora doveva diventare giorno, l'ascoltavo per strada e non sapevo se mi commuoveva più Anna come sono tante, Anna permalosa, o Marco lupo di periferia, Marco col branco, Marco che vorrebbe andar via, mentre mi sentivo un po' Anna e un po' Marco".


Questo scrivevo, il 9 marzo di quest'anno appena trascorso.
Nei giorni passati, ho cercato di fare un uso di facebook che avesse un senso e sono andata a ritroso sulla mia pagina rileggendo tutto quello che avevo scritto nel 2019 per poterlo ricostruire, attraverso i film che ho visto, le persone che ho incontrato, i luoghi che ho visitato e, soprattutto, la tanta, tantissima musica che ho ascoltato. Lo scopo era capire cosa mi lascia di buono questo anno e cosa, di questa bontà e bellezza, anche quando sono state strazianti, è condivisibile con altri.

Per qualche motivo che non è chiaro nemmeno a me, la canzone del buon Lucio e quelle parole che avevo scritto di corsa per strada tanti mesi fa mi hanno colpito più di tutte, forse perché fotografano un anno per me "interlocutorio", di quelli né belli né brutti, non orribile ma nemmeno memorabile. L'anno del VORREI.

Un altro post che mi è risuonato tra i tanti che ho riletto è stato quello in cui parlavo del concerto degli Anathema, un gruppo che chi mi conosce da più tempo sa quanto mi è caro, il giorno dopo in cui avevano suonato a Roma, in giugno, e citavo una loro canzone che amo particolarmente, "Closer", riportando queste parole: "IL TUO MONDO DEI SOGNI E' UN POSTO MOLTO SPAVENTOSO... E' UN POSTO MOLTO SPAVENTOSO IN CUI RESTARE INTRAPPOLATI PER TUTTA LA VITA. RISPLENDI NEL TEMPO, RISPLENDI NEL TEMPO FINCHE' TROVERAI CHE SEI PIU' VICINO ALLA VERITA'."



Ecco, io ho appena messo alle spalle un altro anno in cui sono rimasta intrappolata nel mio mondo dei sogni, almeno per quanto riguarda un paio di argomenti-base nella mia vita, e sono ATTERRITA dall'idea di viverne un altro, o molti altri, così.
Cosa si può fare? Non lo so.
Tutte quelle stronzate del tipo "Tu solo hai il potere di cambiare la tua vita" mi urtano il sistema nervoso. Avrò anche il potere ma se non so dove cazzo sta è come essere proprietari di una casa di cui non si possiedono le chiavi.
Mentre cerco 'ste dannate chiavi, vi lascio un po' di spunti divisi per argomenti che mi hanno tenuto compagnia, fatto sognare, riflettere, commuovere, in questo 2019 ormai già lontano di sei giorni.

Tv: "Che ci faccio qui" di Domenico Iannacone e "Volevo fare la rockstar".
Premesso che non guardo molta televisione, il programma del giornalista molisano Iannacone è straordinario nel raccontare storie vere con uno sguardo attento, rispettoso e partecipe. Su Rai 3, in prima serata, vanno ancora in onda delle repliche. Se non riuscite a sintonizzarvi per tempo c'è sempre Raiplay in internet, grazie a cui potete recuperare anche l'altro programma che vi segnalo, una fiction tratta da un blog che seguo da anni, di cui trovate il link in basso a destra sulla mia pagina. Avevo sinceramente paura che lo sceneggiato facesse carne da porco delle vicende che Valentina Santandrea racconta sul suo blog, invece gli autori, grazie anche ad attori indovinati per le varie parti, sono riusciti a creare un prodotto piacevole e che dà una visione della famiglia italiana che finalmente esce dal quadretto del Mulino Bianco.



Dischi: Tool, "Fear Inoculum" e Nick Cave & The Bad Seeds, "Ghosteen".
Su "Fear Inoculum" scrivevo il 30 agosto, giorno della sua uscita: "Confesso che uno dei motivi che mi hanno portato a rinnovare Spotify Premium anche dopo lo scadere della promozione era ascoltare quest'album il primo giorno di uscita senza interruzione mentre smadonno alla fermata dell'atac a giornata appena iniziata. Colonna sonora IDEALE".


Anche del disco di Nick Cave ho scritto nel giorno della sua uscita, il 4 ottobre, lodando la splendida iniziativa della sua casa discografica di mandarlo in rete per un ascolto gratuito collettivo con testi in sovrimpressione. Mi auguravo, allora, che glielo facessero presentare in Italia in posti degni e, per quel che riguarda Roma, sono stata accontentata perché suonerà alla Cavea dell'Auditorium giovedì 11 giugno. Non potevo chiedere di meglio per un Artista del genere. Il disco non è facile ma è il vero canto di addio al figlio, visto che il precedente "Skeleton Tree" era già ampiamente in lavorazione quando il ragazzo, nel 2015, morì cadendo da una scogliera. Se le facili consolazioni non vi danno alcun giovamento ma volete dare voce ad un dolore troppo grande per voi, avete trovato il vostro album. Ascoltarlo e leggerne i testi tradotti è catartico. Per me, capolavoro totale, poi però lavatevi il viso dalle lacrime e correte ad accarezzare il vostro animale domestico, o a guardare il mare.



Libri: "Momenti straordinari con applausi finti" di Gipi e "Il racconto dell'ancella" di Margaret Atwood.
Il fumetto di Gipi è stato uno dei regali che ho ricevuto per Natale. In realtà, era un regalo "a richiesta": avevo ascoltato l'intervista che aveva rilasciato a Daria Bignardi nel suo programma, "L'assedio", e lo avevo sentito parlare dal vivo alla manifestazione "Più libri più liberi" e mi ero incuriosita tantissimo. Il libro è splendido, chi ha più competenza di me a livello grafico (ci vuole poco) penso ne coglierà anche sfumature che io non sono in grado di notare ma è soprattutto il modo in cui è narrata la storia che contiene a renderlo un lavoro speciale. Mi chiedo sempre come facciano alcune persone a parlare di qualcosa di personale risultando universali o, quanto meno, condivisibili.


Un altro libro che mi è piaciuto moltissimo, tra i tanti che ho letto quest'anno, è "Il racconto dell'ancella". Il romanzo è stato dato alle stampe nel 1985 ma sembra scritto ieri, tanto è attuale e potente. Quest'anno, dopo ben 34 anni, è uscito il suo seguito, "I testamenti", che ho acquistato ma non ancora letto, un po' temendo che non sia all'altezza del libro che lo ha preceduto ma la delusione è un rischio che correrò. L'autrice, Margaret Atwood, ha compiuto 80 anni l'anno scorso ma è ancora una donna lucida e innamorata della vita: da lei c'è molto da imparare.


Film: "Rocketman" e "Joker".
A entrambi questi film ho dedicato un post sul blog nei mesi della loro uscita in sala. Considerato che quest'anno ho scritto pochissimo, potete immaginare quanto mi abbiano colpito, pur non avendo nulla in comune l'uno con l'altro.

Live: Foo Fighters, Omar Pedrini, Tamino.
Da ricordare quest'anno, nella miriade di concerti a cui ho partecipato, scelgo tre live diversissimi, forse l'unica cosa in comune è che si tratta di 3 uomini.
I Foo Fighters sono stati un'autentica, piacevolissima sorpresa, bravi, simpatici, emozionanti, a coronamento di un'esperienza, lo Sziget Festival, che non è arrivata per caso alla sua ventottesima edizione.



Pedrini e Tamino sono l'ultracinquantenne (anni portati da dio, però) e il giovanissimo, con storie, esperienze e generi per ovvi motivi, come quelli anagrafici e geografici, distantissimi ma accomunati da grande amore per quello che fanno. Mi hanno colpito ed emozionato entrambi, li ho trovati sinceri e innamorati del loro meraviglioso lavoro di musicisti.



Omar Pedrini ha detto che starà fermo per un po', anche se questo è l'anno del ricordo della profetica "2020" dei suoi Timoria. Tamino spero abbia prestissimo la possibilità di esibirsi su un palco prestigioso come potrebbe essere quello dell'Auditorium Parco della Musica. Lo merita.



Posti: Chiesa di Sant'Oliva, Cori (LT) e Cimitero delle Fontanelle, Napoli(Inkiostro - Rassegna di musica e scrittura)
Ho avuto la fortuna di poter partecipare a Cori, presso la deliziosa chiesa di Sant'Oliva, ad uno dei live della rassegna Inkiostro, che si occupa di portare in quel territorio così difficile da raggiungere se sei senza macchina proposte di musica di qualità eccelsa. Il paesino intero mi è sembrato molto bello ma, quando ci sono stata, eravamo a tramonto inoltrato e non c'è stato tempo di visitarlo. Collaborazione di amici in macchina permettendo, mi riprometto di farlo quanto prima.
Il Cimitero delle Fontanelle a Napoli, invece, è un posto con una storia particolarmente interessante, da conoscere e visitare con il rispetto che si deve alla vita anche quando finisce o, per chi ci crede, continua in un'altra dimensione.



La notizia musicale: si riuniscono i Rage Against The Machine.
Quando ho letto che, nel 2020, sarebbero tornati a suonare insieme, anche se per ora lontano dai palchi europei, sono stata felicissima. Un giorno dell'anno appena trascorso, quando ancora questa notizia non era neanche nell'aria, in una situazione di gruppo in cui dovevo dire ai partecipanti come stavo, le mie parole sono state: "Qualcuno di voi si ricorda di un gruppo che andava fortissimo a metà degli anni '90? Si chiamavano Rage Against The Machine, Rabbia Contro la Macchina. Ecco, io sto così, con tutta la mia rabbia contro la macchina di un sistema che mi fa schifo e da cui non riesco a liberarmi".
Sarà questo nuovo anno, bisestile, iniziatore di un nuovo decennio, quello in cui diventerò capace di usare questa rabbia come carburante per allontanarmi da quello che non riesco più a sopportare e ad andare verso una vita più "degna"? Io lo spero, con tutto il cuore.