venerdì 29 maggio 2020

Quanto pesa un'etichetta?: il mio primo libro post-quarantena.

Da molti giorni programmo di scrivere questo post ma è stato difficile finora ritagliarsi lo spazio, fisico e mentale, necessario. 
Se, per qualcuno, "fase 2" significa prosecuzione di ritmi casalinghi e vita di quartiere e per altri preoccupazioni legate al futuro, per altri ancora, come me, sta segnando il ritorno ad una vita da criceto impazzito che gira sulla ruota contenuta in una gabbietta che appartiene a un pazzo scriteriato. 
E' orribile? Assolutamente sì.
Non posso andare ai concerti - che per me significa rimanere in debito di ossigeno - . non posso andare al cinema, ai musei sì ma programmandolo con largo anticipo... e poi c'è quella stramaledetta mascherina... Treno forse ma vediamo dal 3 giugno come va, aereo lasciamo perdere proprio. 
Ci sono gli amici ma, se anche prima non è che fosse sempre facilissimo coinvolgerli in qualche attività insieme, ora tutto sembra diventare immensamente più complicato.
Resta, tra i miei grandi Amori, uno di quelli che più di tutti, da sempre, mi fanno compagnia: LA LETTURA.
Nei due mesi in cui gli unici visi cari della mia vita li ho visti nelle videochat ed anche adesso, leggere mi ha aiutato e mi aiuta tantissimo: mi porta da un'altra parte, mi fa ragionare, mi fa provare sentimenti intensi, mi fa conoscere personaggi nuovi che spesso mi mettono in contatto con parti di me stessa che ho bisogno di conoscere meglio.
Anche questa volta, nel mio primo libro post-quarantena, è andata bene, ho incontrato una storia che non può lasciare indifferenti o, per lo meno, per me è stato così.
Il libro di cui parlo è "La vita bugiarda degli adulti" di Elena Ferrante: lo avevo regalato a mio padre per Natale, chiedendogli di prestarmelo quando ci saremmo rivisti. Considerato che, da allora, non ci siamo più incontrati, il libro è arrivato insieme ai cibi del famoso "pacco da giù" che ogni emigrato meridionale conosce.


Con tutto che avevo ripreso a lavorare da pochissimo dopo due mesi di stop, quindi con le sveglie all'alba e tutto il corollario cricetesco, ho letto questo libro in 5 giorni. Me lo portavo ovunque: in bagno, al lavoro nei momenti di pausa, a letto prima di andare a dormire. Questo, per me, già è un risultato splendido: significa che la storia ti ha catturato e che quei personaggi sono diventati un vero e proprio incontro.
In questo romanzo, i personaggi significativi sono soprattutto due: Giovanna, la protagonista, che seguiamo dai 12 ai 15 anni, e sua zia Vittoria.
Non faccio spoiler perché quello che sto per dire è contenuto praticamente in tutte le sintesi del romanzo che si trovano in giro: tutto inizia quando Giovanna, figlia modello di una coppia della Napoli bene, origlia una delle conversazioni tra i suoi genitori. Il padre sta dicendo alla madre che la ragazzina "sta facendo la faccia di Vittoria". Siccome questo personaggio, la zia Vittoria, la sorella del padre, è ammantato da sempre di un alone di cupo mistero familiare, Giovanna si convince che i suoi pensino di lei che è brutta, che è strana, che è indegna di quella famiglia così fantastica.
Con molto coraggio, ad un certo punto prova a chiedere spiegazioni su quel che ha sentito... cosa le dicono? Che non ha capito, che "scherzavano". 
Non so voi ma io queste storie di commenti aggressivi, di una violenza vile perché subdola, camuffata da "sei tu che non hai capito", ne conosco non poche.
La storia di Giovanna mi ha fatto venire in mente una frase che mi ha sempre molto colpita, quella del poeta Danilo Dolci: "Ciascuno cresce solo se sognato".
Giovanna è sognata? E come? Cosa succede se il sogno da cui l'hanno fatta nascere si scontra con la realtà, con quello che lei effettivamente è, non bella o brutta, non giusta o sbagliata, semplicemente "lei"?
Credo sia, questa, una delle sfide più grandi a cui vanno incontro i genitori: amare i loro figli esattamente per quello che sono, senza affibbiare loro etichette in base ai loro desideri e ambizioni.
Qualcuno diceva: "Chiudi un ragazzino in una stanza ripetendogli cento volte al giorno che è stupido, non potrà che comportarsi da stupido".
Il processo di crescita di Giovanna la porterà pian piano a capire che gli adulti sono spesso molto pavidi, pieni di segreti e di non detti.
Qualcuno, come suo padre, prova ad affrancarsi dalla meschinità attraverso la cultura, che è uno dei topos tipici della Ferrante (vedi "L'amica geniale") ma Giovanna capirà che nemmeno quella ti può salvare del tutto dalle tue piccinerie. 
Mentre leggevo, immaginavo la voce ipnotica di Alba Rohrwacher guidarmi tra le pagine, proprio come nella serie tv tratta da "L'amica geniale".
Sarà che in questo periodo sono in fissa con la fotografa palermitana Letizia Battaglia, perché io sono sempre in cerca di modelli interessanti di donne, specie quelle che mi possono suggerire una strada per invecchiare con grazia, ma mi sono immaginata Giovanna e la zia Vittoria come le protagoniste di due celebri foto della Battaglia: la bambina col pallone e Rosaria Schifani, la vedova del carabiniere della scorta di Giovanni Falcone che morì insieme al giudice nell'attentato di Capaci. Non si somigliano affatto o, forse, un po' sì, esattamente come Giovanna e Vittoria.


Perdersi nella loro storia è stato bello e anche un po' terrorizzante: "invecchiare senza diventare adulti", come cantava Franco Battiato ne "La canzone dei vecchi amanti", deve essere terribile ma anche il processo che ci porta dall'infanzia verso l'età adulta, passando per quella fase tremenda - bella solo per chi non se la ricorda bene - che è l'adolescenza, ha bisogno di molta forza e gentilezza e di un adulto che ci insegni che è importante rivendicare il diritto ad essere amati senza maschere.

"Mi sforzai di calmarla ma era come sopraffatta da tutta l'angoscia che provava dall'infanzia a oggi: il padre, la madre, Vittoria, l'incomprensibile urlìo degli adulti intorno a lei, e ora Roberto e quell'angoscia di non meritarselo e perderlo".