giovedì 3 marzo 2022

Almeno posso dire: "Ci ho provato".

Alcune tra le persone che mi vogliono bene, e sanno quanto soffra nel mio essere poco realizzata attraverso un lavoro per me quasi privo di gratificazioni, spesso mi spingono a cercare una strada di espressione attraverso un canale che mi riesce facile, la scrittura.

Per una volta, ci ho provato sul serio e non è andata bene, non sono rientrata nemmeno tra le riserve.

In concorso con le biblioteche di Roma, si sta per aprire per la durata di tre mesi, tenuto da una scrittrice piuttosto famosa, un laboratorio di scrittura aperto a 15 persone, senza distinzioni di curriculum e di età. 

Lo avevano detto chiaramente, all'evento di presentazione: "L'unico criterio per accedere sarà il merito e il corso non avrà nessun costo, gratis per tutti". Penso mi si siano davvero illuminati gli occhi, quando ho sentito questa parola: MERITO, che sarebbe stato valutato attraverso l'invio di un breve elaborato sul tema "Perché scrivo".

La vedevo come la mia occasione di riscatto: io finalmente valorizzata, la ex bravissima a scuola ma discreta all'università, frustratissima - a tratti fantozziana - nel mondo del lavoro, consapevole di essere governata da una classe dirigente costituita, nelle mie fantasie, dagli ex rampolli ricchi che, quando lavoravo al centro vaccinale di via Plinio, venivano a farsi le vaccinazioni perché papy & mamy avevano pagato il viaggio intorno al mondo come regalo per il superamento dell'esame di maturità ma che non erano in grado di compilare da soli un semplice consenso informato in lingua italiana e, quando tu glielo restituivi dicendo: "Manca la firma", ti chiedevano: "Ahhh ma dove devo firmare?" quando c'era scritto a chiare lettere, in basso a destra come in quasi tutti i documenti, "firma".

Piangevo come una scema, stasera sull'autobus di ritorno dal lavoro, mentre all'amica che mi scriveva su whatzapp per incoraggiarmi (lo avevo detto solo a sette persone... e meno male) rispondevo: "Sarà stato patetico? Noioso? Banale? Tutte e tre le cose insieme?"

Ecco, patetico è l'aggettivo che mi fa soffrire di più. Qualcuno, a volte, me l'ha detto e non lo sopporto. Certo, l'immagine di me che piango nell'autobus, riducendo a un cencio inservibile la mascherina che mi copriva mezza faccia, sicuramente non aiuta ma è la verità, non mi riuscivo a trattenere, come mi succede certe volte con la musica, quando sento per esempio Chris Cornell o, adesso, Mark Lanegan e sento il sapore della sconfitta.

Mi dispiaceva, però, che nessuno lo leggesse, questo elaborato, che avevo mandato solo a due-tre amiche fidate quando ho chiesto di partecipare, e allora, visto che chi è stato selezionato lo leggerà ad alta voce al primo incontro del laboratorio, fa niente, io lo lascio qui, lo leggerà chi vuole. Ecco perché scrivo.

"Nella mia vita ha sempre dominato il dualismo, a partire dall'iscrizione all'anagrafe. Sono stata chiamata Maria Antonella, in omaggio alla nonna paterna che si chiamava Antonia, ma nemmeno i miei genitori hanno mai adoperato il nome che mi avevano assegnato. Sono sempre stata per tutti Marinella, tanto che ho varcato l'ingresso della scuola elementare pensando di chiamarmi veramente così.

Attualmente, il dualismo è parte integrante della mia vita: da una parte c'è l'impiegata super sfruttata, che odia il lavoro che la costringe ad alzarsi all'alba cinque giorni su sette e che conteggia quanti anni le mancano alla pensione, dall'altra l'amante dei vestiti di pelle, dei concerti rock, del cinema, dei viaggi, che nel 2017 è andata in bus da sola a Firenze per sentire Eddie Vedder suonare, è tornata di notte a Roma, sempre in bus, ha dormito qualche ora a casa ed è andata con un'amica all'Olimpico per il concerto dei Depeche Mode. Tutto nel giro di 48 ore. A 43 anni.

Avete presenti quei supereroi tipo Clark Kent quando diventa Superman o Peter Parker quando si trasforma in Spiderman?

Ecco, loro assumono l'identità col superpotere per salvare l'umanità, io salvo solo me stessa o forse no, non salvo solo me, perché ho il sogno e il desiderio, raccontando per iscritto delle passioni che mi alimentano e rischiarano la parte buia della mia vita, di poter mandare un messaggio a chi mi legge: “Scopri qual è il grande amore della tua vita e seguilo. Solo così sarai felice e, quando non lo sarai, ti ricorderai di qual è il pozzo a cui attingere per calmare quei demoni che la notte non ti fanno dormire”.

Anni fa, vinsi la partecipazione ad una cena con Stefano Benni - mio scrittore preferito tra i viventi - attraverso un contest in cui si chiedeva un breve elaborato collegato ai lavori dell'autore e allo spirito che li anima.

Ricordo il momento in cui arrivò la mail che mi comunicava che ero stata scelta per essere tra i partecipanti a quella cena - credo una ventina - come un momento di gioia assoluta, anche se solo io so quanto ho faticato per godermi i momenti felici senza giudicarmi, senza dirmi: “Come puoi essere felice per così poco...”

MAI ABBASTANZA: l'unione di questi avverbi ha funestato la mia esistenza fino a quando non ho capito che dare dignità alle mie passioni mi avrebbe salvato letteralmente la vita.

Varie teorie psicologiche dicono che il bambino impara ad avere coscienza di sé e del suo valore nello stare al mondo attraverso lo sguardo del genitore amorevole, che lo ama e lo accetta per quello che è. Quando qualcuno che conosco mi dice: “E' bello leggerti”, sapendo quanto di me stessa e della mia autenticità metto in quello che scrivo, io vivo l'esperienza del bambino a cui l'adulto legittima la possibilità di stare al mondo. Ora mi piacerebbe che quella possibilità fosse incoraggiata anche da qualcuno che non mi conosce personalmente ma che mi possa aiutare, attraverso la sua competenza ed esperienza, a portare fuori un pezzo del mio mondo in cui forse, da qualche parte, c'è qualcuno che ha bisogno di riconoscersi per sentirsi meno solo".