domenica 26 novembre 2017

Ricordati che devi vivere: Niccolò Fabi @Teatro dal Verme, Milano 20/11/2017

Stamattina mi son svegliata e cantavo: "Non ho visto nessuno andare incontro a un calcio in faccia con la tua calma e indifferenza, sembra quasi che ti piaccia..." eppure ero - e sono - felice.
Felice perché c'è una grande festa, stasera a Roma, è il padrone di casa è Niccolò Fabi, che vuole dare l'arrivederci al suo pubblico con un concerto nella sua città in un posto dove non ha mai suonato.

Foto delle prove pubblicata sulla pagina fb di Niccolò.

Ha deciso che è il momento di fermarsi per un po': NON di lasciare la musica, come era stato erroneamente interpretato e scritto qualche tempo fa durante un'intervista poi riportata da tantissimi siti, ma di prendersi una pausa, di stare fermo per vedere che rumore fanno i suoi pensieri. 
Ha ragione quando dice che molta gente non si ferma mai perché ha paura del senso di vuoto che può provare.

Io amo le feste e amo Niccolò Fabi ma ha deciso di festeggiare in un posto di merd che a me non piace: il Palalottomatica. Allo stesso tempo, non volevo perdermi l'occasione di "salutarlo", visto quello che la sua musica ha significato per me in questi ultimi anni (basta cercare il suo nome nel blog e, dal 2012, lo troverete svariate volte), e allora ho cercato un luogo e un'occasione che fossero davvero adatti a godere dei suoi pezzi, così delicati eppure così potenti.

Tra fine settembre e inizio ottobre, sono iniziate a circolare in rete notizie circa la prima edizione della MILANO MUSIC WEEK, un evento che a novembre, per un'intera settimana, avrebbe riempito di musica la città di Milano. Si faceva già il nome di Niccolò Fabi e del teatro Dal Verme, un posto che mi avevano detto essere molto carino, a due passi dal Castello Sforzesco e, soprattutto, collegatissimo con la metro (con la nevrosi da mezzo pubblico che c'ho io, particolare non di poco conto).

Le modalità di ingresso all'evento, che si preannunciava come iniziale all'interno della Music Wek, non erano ancora decise ma, girando tra i siti come un segugio, ho capito che, acquistando una Milano Card - una sorta di abbonamento, valido anche solo per 24 ore, con sconti vari per musei e altro - avrei avuto qualche possibilità in più di entrare in teatro, visto che il concerto era previsto come GRATUITO ma noi fruitori di musica nonché amanti del vivere low-cost sappiamo che, dietro una gratuità, spesso si celano sòle o sbattimenti. Avevo ragione e a teatro a sentire Fabi, lunedì 20 novembre, ci sono entrata al solo costo della card (che, tra l'altro, per un giorno mi ha consentito di prendere tutti i mezzi che volevo) anche se, quando hanno distribuito i biglietti al Dal Verme, io ero a 600 km di distanza e la gente smadonnava su internet perché in mezza giornata erano già finiti (in realtà, il teatro quella sera aveva un sacco di posti vuoti, tanto che poi ci hanno fatto sedere tutti molto più avanti rispetto alle poltrone assegnate, lasciando vuote le parti laterali, ma questo è uno dei tanti misteri organizzativi italiani).

Partiamo col dire una cosa: la Milano Music Week può diventare una iniziativa bellissima.
Vedere una città, per una intera settimana, avvolta da eventi di musica di ogni genere, molti dei quali ad ingresso gratuito, è meraviglioso e dà la possibilità di scoprire o ri-scoprire - artisti e luoghi sempre diversi.
Io mi sono fermata solo un giorno, il primo, e sono stata, oltre che al concerto di Fabi, alla chiacchierata con live di Paola Turci - brava e molto simpatica - alla Fondazione Feltrinelli, vicino corso Como. 
Era fantastico vedere l'entusiasmo di chi si era creato proprio un planning del tipo: "Adesso sto dalla Turci, poi mi metto in metro e vado a sentire Fabi e domani è la volta di Caparezza", anche perché gli eventi non si sovrapponevano - cosa molto importante, secondo me, se si vuole creare una vera opportunità di fruizione delle varie iniziative.

Del concerto di Fabi, specifico che si trattava di un live non per intero in quanto, all'interno della serata di un'ora e mezza circa, doveva trovar posto anche un'intervista che inframmezzava le canzoni (con una certa dichiarata difficoltà da parte dell'artista nel doversi calare continuamente da un'atmosfera in un'altra) per un format, Storytellers, che una volta andava in onda su Mtv ed ora, invece, su VH1 (la puntata con Fabi verrà trasmessa l'8 dicembre proprio su questo canale).

Il concerto era in acustico, solo voce, chitarra e tastiera e, secondo me, questa veste impalpabile è quella che più rende giustizia alla grazia delle sue canzoni, che sono come quelle case talmente belle che basta un fiore per trasformarle in delle regge.

Niccolò ha parlato dell'importanza di un riconoscimento e un successo di grande pubblico arrivati quando per molti era tardi mentre tardi non è mai per certe cose e, anzi, un piacere raggiunto quando meno lo aspetti, quando sembrava più proprio di un'altra età e di un'altra stagione della vita, è doppiamente goduto... che dire... quest'uomo è un inno al coraggio e alla speranza!

Ha parlato della responsabilità dell'artista, che può essere un esempio di gentilezza, nel senso più ampio del termine, in un mondo che gentile non è per niente, dove l'aggressività regna sovrana e genera catene di mostruosità tra sfoghi e repressioni.

C'è stato anche un momento interessantissimo in cui ha parlato dell'importanza del COME comunicare un pensiero o uno stato d'animo e prova ne è il demo "Senza capelli", precursore malinconico e un po' arrabbiato del successivo "Capelli" che, con le stesse identiche parole ma con un tono ironico e scanzonato, ha fatto centro e ha portato al pubblico in maniera convincente il messaggio che Niccolò voleva dare ("Lasciatemi libero di essere quello che sono già a partire dal modo in cui mi presento nel mondo").


Inutile parlarvi di quante volte mi sono commossa, inutile dirvi di come mi sono protetta in un bel "chissenefrega" quando ha cantato "Una mano sugli occhi" ed io, col volto rigato di lacrime, mi trovavo da una parte con dei posti vuoti (ve l'ho detto che l'hanno gestita alla cazz male la storia degli ingressi) e da una parte con una coppia che ha passato quell'ora e mezza a ridacchiare (li ho un po' odiati un po' compatiti, perché mi hanno ricordato quelli che ridono nelle occasioni di dolore perché non ci sanno stare).



C'è una frase di "Filosofia agricola" che dice: "Se avessi meno nostalgia, saprei conoscere, godermi e crescere invece assisto immobile al mio nascondermi e scivolare via da qui" e in questi giorni, mentre leggevo l'ultimo fumetto di Zerocalcare, "Macerie prime", mi sono chiesta se il buon Zero conosce questo pezzo, perché il suo libro parla proprio della difficoltà per alcuni (tipo me e lui) di disancorarsi al passato per fare spazio alla novità e alla crescita, probabilmente per viltà, sicuramente per paura.



E' stato intenso, è stato autentico, è stato liberatorio.

Se stasera siete al Palalottomatica, divertitevi, commuovetevi, emozionatevi. E fate arrivare la forza del vostro canto fino a qui.


Set list:
  1. Solo un uomo
  2. E' non è
  3. Filosofia agricola
  4. Senza capelli
  5. Capelli
  6. Il primo della lista
  7. Una mano sugli occhi
  8. Una buona idea
  9. Ecco
  10. Costruire
  11. Lasciarsi un giorno a Roma

lunedì 6 novembre 2017

"Guardami, ora": Nick Cave & The Bad Seeds @Kioene Arena (Padova), 04/11/2017

Nick Cave ha suonato l'altro ieri a Padova coi suoi Bad Seeds, ed era il 4 novembre. 

Ho controllato la data di acquisto sul biglietto: l'ho comprato il 28 di marzo, cioè oltre sette mesi prima dell'evento. Era l'unico modo per avere la sicurezza di stare in parterre, i posti più scomodi (ore e ore in piedi in mezzo alla folla che ci ricordano che, finché riusciamo a farlo, non siamo ancora proprio da rottamare) eppure gli unici per stare DENTRO, AL CENTRO del concerto (tra l'altro la Kioene Arena è piccola, sono solo quattromila posti tra parterre e spalti, e i biglietti sono finiti abbastanza velocemente, complice il fatto che il concerto fosse di sabato e il luogo, a confronto con Milano e Roma, le due date italiane a seguire, più piccolo e con un'acustica migliore).

Questo NON E' un concerto qualsiasi: è stato chiaro da subito.
Io non avevo mai mai visto un'esibizione del genere e sono ventisette anni, cioè da quando ne avevo sedici, che macino live.
Complice qualche persona che conosco o che ho frequentato in passato che lo aveva visto in tour precedenti e me ne aveva parlato, oltre ai tanti video live che circolano su youtube, mi ero lasciata incuriosire, rimanendo davvero affascinata. Mi dicevo: "Se è come nei video, è qualcosa di incredibile". Ecco, non è come nei video: è ANCORA MEGLIO.

Ieri sera, al ritorno da Padova, leggevo un articolo su Noisey che parlava del nostro e della sua lunghissima carriera (ha sessant'anni ed è sulla scena da quando era poco più che ventenne).  
C'era un pensiero, a proposito dei suoi esordi, che ho trovato bellissimo e che, ora che ho visto coi miei occhi e sentito con le mie orecchie, ho avvertito come profondamente reale e vero: "Nick Cave stava costruendo il template - il modello - su cui avrebbe fondato la sua carriera, fatto di corpi che si scontrano in uno spazio romantico in cui divino e infernale sudano assieme".
"Divino e infernale sudano assieme".. è proprio così.
Complici, forse, gli anni, un passato di quelli senza rimpianti imbottito di droghe e vita selvaggia, la morte - due anni fa - di uno dei suoi due figli gemelli, a me questo Nick Cave versione 2017 è sembrato più vicino ad un'altra dimensione che a questa terrena, restando comunque incredibilmente UMANO.

Non ha paura del pubblico, gli si dona con una fiducia TOTALE. 
Si protende sulla gente dal palco fino a farsi sorreggere, canta (meravigliosamente, tra l'altro) guardando occhi e prendendo mani senza perdere mai la concentrazione.
Su "Higgs Boson Blues" cantavamo in coro: "Can you feel my heartbeat?", "Puoi sentire il battito del mio cuore?" e io ho pensato: "Che bello essere qui, ora".
Eravamo quattromila ma era intimo e, nello stesso tempo, c'era un'energia fortissima.
Non so perché ma mi sono venuti in mente i ragazzi morti nell'assalto al Bataclan due anni fa, durante il concerto degli Eagles of Death Metal. 
Davvero, non c'è una spiegazione razionale ma ho pensato a loro, ai loro cuori che in quel momento mi sembrava tornassero a battere sulla Terra attraverso il mio e quello di tutti i presenti, nell'amore per la musica che unisce le loro vite finite alle nostre che proseguono.

Cave è sciamano, è padre, è prete, è domatore di leoni. 

Ha ragione la mia amica che lo aveva visto tre anni fa all'Auditorium che mi ha detto: "Scommetto che non riuscivi a staccargli gli occhi di dosso". 
Su "The weeping song" è sceso dal palco ed è passato tra il pubblico per poi continuare a cantare in alto, in mezzo alla gente, sulla postazione che diffondeva gli effetti video alle spalle dei musicisti (tra l'altro, uno più incredibile dell'altro, Warren Ellis in testa).
Mentre passava, l'ho visto da vicino e mi hanno colpito la sua pelle bianchissima ed il suo viso che non nasconde gli anni che passano, nonostante il fisico asciutto e il suo mitico capello stra-tinto. 
Ha degli occhi incredibili: passava tra la gente, senza security, senza nessuno e tutti gli facevano largo anche se volevano toccarlo. Avrei potuto allungare un braccio e farlo anch'io ma sentivo una sorta di timore reverenziale. Non mi è mai piaciuto toccare i santi, figuriamoci un santo-diavolo.
Nick Cave domina la scena e il pubblico ricambia perché, almeno nella data di Padova, non ho visto accadere niente di pericoloso o di osceno, se non - perversione dei nostri anni - il finale in cui qualcuno tra quelli che ha fatto salire sul palco con lui sulle ultime due canzoni, "Stagger Lee" e l'incredibile "Push the Sky away", che, invece di guardarlo negli occhi mentre cantava, continuava a puntargli contro la fotocamera dello smartphone.

C'è stato, però, un momento che non dimenticherò mai: per farlo passare, un ragazzo del pubblico sul palco non si è semplicemente scostato ma si è alzato proprio in piedi e mi è sembrato un gesto bellissimo, carico di rispetto. 
Cosa fa a quel punto Nick Cave? Abbraccia quel ragazzo ed io vi giuro che era un abbraccio vero, denso. In quel ragazzo c'eravamo noi, c'era il figlio perduto, la trasmissione di un affetto, la giovinezza che vola via ma che vive per sempre nei cuori che ne sanno conservare un pezzettino.
Mi si sono riempiti gli occhi di lacrime e ancora adesso, mentre ne scrivo, mi emoziono.
Sono le 19.37, tra meno di un'ora e mezza anche Milano avrà il suo rito. A Roma tocca mercoledì.

Lunga vita a Nick Cave e ai Bad Seeds. 
Se passano dalle vostre parti, non perdeteli e, se non passano, prendete un treno e cercateli. 

P.S. Tutte le foto sono della mia amica Raffaella, con cui ho avuto il privilegio di condividere questa meravigliosa avventura musicale.


venerdì 3 novembre 2017

A volte ritorno.

Cari orfani del blog, come state?

Qualcuno avrà notato che è dal 31 luglio che non scrivo. Forse è il periodo di silenzio più lungo da quando ho avviato questo spazio. Ho ricevuto parecchie visualizzazioni, nel frattempo, ma, siccome non commenta mai nessuno, resto sempre a chiedermi se siano fake o se qualcuno davvero arrivi a questo blog, in qualche modo, e poi si diverta a curiosarci.

Non sono stata proprio ferma ferma, però, in questi lunghi mesi.
Su Shiver Webzine ho scritto report di live (Cristina Donà, Diodato & Luci della Centrale Elettrica, Afterhours a Prato, Daniele Coccia è l'ultimo) e recensioni di dischi (Mauro Ermanno Giovanardi, che ha tirato fuori un lavoro di rilettura degli anni '90 che mi è piaciuto tantissimo, oltre che la sempre amata Donà) con una frequenza che non avevo da anni.

"Non dico proprio il primo della lista ma neanche l'ultimo degli stronzi": così cantava Elio in "Fossi figo" un po' di anni fa. Ecco, io mi sento esattamente così.

Impossibile fare un riassunto di film, dischi, libri usciti in tutto questo tempo che hanno catturato la mia attenzione e che, per pigrizia, mancanza di tempo, paura di scrivere post tristi che somigliassero più a un pippone che a una condivisione, ho mancato di riportare qui sul blog.
Dico solo una cosa, però: stasera sono EMOZIONATA.
Emozionata perché domani mi sveglio all'alba ma non per andare al lavoro come al solito: prendo un treno e me ne vado a Padova, dove NICK CAVE & THE BAD SEEDS inaugurano un giro di tre date in Italia (le altre sono Milano e Roma, che però era fuori discussione perché li fanno suonare nell'ignobile Palalottomatica)
Solo una notte fuori, abbastanza per beccare il disagio di quello che si preannuncia il weekend in cui cadrà dal cielo tutta l'acqua che non è piovuta ad ottobre, ma anche luna piena e un posto in parterre acquistato con MESI di anticipo per non rischiare il prevedibile soldout.
Basta farsi un giro su youtube o sul profilo Instagram dell'artista per capire cosa succede durante questi concerti che sembrano, più che altro, dei riti sciamanici.
Non so cosa aspettarmi ma so che sarà bello.
Nerds Attack, sito numero uno, per me, per originalità dei suoi live report, ha pubblicato oggi un racconto della data di Lubiana che mi ha fatto veramente brillare gli occhi.

Il manifesto del tour già ci dice qualcosa su come andrà.

"Jubilee Street" è, credo, l'ultima canzone che ho ascoltato con l'ultima persona di cui sono stata innamorata, che mi disse: "Fammi ascoltare qualcosa di bello, scegli tu". Non ho mai saputo se gli fosse piaciuta... chissà se domani la suonano...


Mi piace pensare che domani circolerà un sacco di buona energia musicale in Italia, visto che c'è un altro pienone in giro, oltre a quello di Cave: i Queens of the Stone Age a Bologna, uno di quei gruppi pazzeschi dal vivo, che ancora mi chiedo come è possibile che io me li sia dovuti andare a vedere da sola, quando suonarono tre anni fa al Rock in Roma.


Mentre, quindi, ci si butta nel pieno della stagione dei concerti al chiuso, iniziano ad uscire le date che ci faranno sanguinare il portafogli in estate, tipo gli A Perfect Circle al Castello Scaligero di Villafranca di Verona domenica primo luglio (il singolo nuovo, "The doomed", è una bomba).



Tutto bellissimo, quindi? No.

Da queste parti non si fa la vita della vispa Teresa, anche se la considerazione che si ha di persone come me generalmente oscilla tra quelli che ti vedono una poveraccia e quelli che ti pensano come una assoluta privilegiata.

Situazione sentimentale: Malgioglio (grazie alla pagina fb Boom. Friendzoned che ha fornito questa perla e relativa didascalia).

Ci sono stati - e ci sono ancora - dei momenti parecchio duri, di quelli in cui fai i conti con una vita che, per molti aspetti, ti sembra solo un grosso fallimento e ti porta a chiederti il senso dello stare al mondo in mezzo a situazioni e persone capaci di meraviglia ma anche di toccare apici di schifo incredibili.
Le mie passioni mi hanno aiutato - e mi aiutano - tantissimo quando mi impantano nelle paludi della tristezza peggio del cavallo di Atreju ne "La storia infinita": in particolare, ho pensato e ripensato ad un docu-film, "IL SALE DELLA TERRA", che, nel 2014, Wim Wenders dedicò al fotografo brasiliano SEBASTIAO SALGADO, che, dopo aver fotografato e documentato di tutto, incluso il genocidio in Rwanda e Burundi, decise che l'essere umano era spregevole e non aveva più la forza di vivere. Che cosa lo salvò? Ritagliatevi due ore tranquille nella vostra vita e guardate il documentario per saperlo. Io l'ho trovato MERAVIGLIOSO e VERO, senza quei buonismi e quella retorica che mi fanno venir voglia di diventare cattivissima.



Per un curioso caso della vita, le foto di Salgado sono in mostra, in questo periodo, a Napoli, al PAN, e a Milano, presso la Fondazione Forma.
Come canta la Bandabardò, "se la terra mi chiama non posso restare chiusa tra quattro mura e ho premura di vivere", quindi sapete già quali sono le città in cui ci potremmo incontrare prossimamente.