domenica 12 gennaio 2020

Eravamo tutte Jo March... e poi?

Come nell'anno di "Lalaland", in cui non mi ricordo che cosa è successo nella mia vita in quel periodo ma mi ricordo che, di sicuro, ho iniziato l'anno cinematografico vedendo "Lalaland", volevo che il mio primo film del 2020 in sala fosse bello, da ricordare, magari che mi facesse venir voglia di scrivere perché il pensiero magico impone che, se la prima cosa che fai in un campo che ti piace (e a me andare al cinema piace tantissimo) ti soddisfa, tutti i mesi a seguire ti daranno uguale, se non maggiore, soddisfazione. Sono stata accontentata: il mio primo film dell'anno 2020 è stato "Piccole Donne" di Greta Gerwig, un film SPLENDIDO. Sono arrivata al botteghino e in sala c'era rimasto UN SOLO posto libero. Mi son detta: "E' un segno, quel posto è mio". Dopo, all'uscita, mi è venuta voglia di chiamare non so quante amiche, vicine e lontane, per dire: "Andate a vederlo, è favoloso", ma mi sono ricordata che è domenica sera e, forse, le persone hanno altro da fare, allora ho mandato solo un messaggio ad una di loro... ma questo post potrete leggerlo comodamente quando volete!


Premetto che questo post conterrà SPOILER ma chi non conosce la vicenda delle quattro sorelle March, Meg la romantica, Jo la ribelle, Beth la dolce, Amy la smorfiosa?
Io ho passato i 40 anni da un pezzo, anzi quest'anno divento pure più vicina ai 50 che ai 40 (che paura) ma ricordo come se fosse ieri il momento in cui i miei genitori, nell'estate dei miei 10 anni, per farmi vincere la noia che funestava tutte le mie estati di quell'epoca, mi diedero il permesso di comprare un libro da un signore che vendeva volumi per bambini su una bancarella in una piazzetta a Termoli, vicino dove i miei andavano (e vanno ancora) in vacanza. Scelsi "Piccole Donne", non so se attirata dalla copertina, dal titolo, dal fatto che qualche amichetta a scuola potesse avermene parlato. Scelsi "Piccole Donne" e mi innamorai perdutamente. L'ho letto e riletto mille volte allora e fino all'adolescenza, ricordavo a memoria interi capitoli, uno che mi piaceva tantissimo era "Meg va alla fiera delle vanità", forse perché a me, di vanità, già da allora ne era concessa zero.
La mia eroina, però, come poi - confrontandomi con tante ex bambine lettrici - ho scoperto era praticamente per tutte, era Jo, la secondogenita. Jo che vuole fare la scrittrice, Jo vulcano in eruzione, Jo "causa persa" per l'acida zia March (che, però, le lascia in eredità la grande villa dove fonderà una scuola innovativa) dal carattere pieno di spigoli ma dal cuore d'oro, Jo che dicono non sia bella solo perché è troppo avanti per i suoi tempi e infatti, negli anni, il cinema le ha reso giustizia, lasciando che a interpretarla fossero attrici non solo brave ma anche belle, di bellezza poco convenzionale ma sicuramente super affascinanti, come la mia amata Winona Rider negli anni '90 e ora lei, Saoirse Ronan, un turbine di capelli arruffati e meravigliosi e due occhi e un piglio che la rendono indimenticabile rispetto alle altre protagoniste del film, tutte belle e bravissime nei loro ruoli, ma noi, noi ex bambine lettrici, noi amiamo solo Jo.


Il film è costruito con la tecnica del flashback, la narratrice è, ovviamente, Jo ed ha dalla sua fotografia, luci e costumi meravigliosi, oltre alle ottime interpreti, che ho trovato tutte molto credibili nell'impersonare quelle eroine che, in quell'estate dell'84, ancora non avevano un volto cinematografico per me ma che io immaginavo nei minimi dettagli, perché il racconto che ne ha fatto Louisa May Alcott nel 1868 era costruito così bene che le scene te le vedevi davanti agli occhi una ad una, mentre leggevi.
A proposito dei costumi, è rispettata la tradizione che Jo ha sempre qualcosa di rosso (in questo film anche bordeaux) con sé, perché i colori parlano, come mi piace pensare che capiscano quelli che vedono i miei vestiti quasi sempre neri o, comunque, scuri e la mia casa, invece, tutta colorata.


Jo ha sempre qualcosa di rosso tranne nei momenti del grande dolore, come quando muore Beth o quando è costretta a buttare la lettera che ha scritto a Laurie per dirgli che sì, ok, se lui le chiede un'altra volta di sposarla lei gli dice sì ma ormai è tardi, Laurie è tornato dall'Europa già sposato con Amy. Povera Jo, come faccio a non amarti, tu che sbagli sempre i tempi...
Amy, nel primo libro di "Piccole Donne", è la sorella meno simpatica, la piccolina viziatella ma "Piccole Donne" è, in realtà, una quadrilogia e dal film viene fuori una Amy che, col tempo, matura e tira fuori un acume ed un'intelligenza insperati, nonchè l'onestà di ammettere che vivere all'ombra di quella sorella maggiore così brillante e sicura di sé le è sempre pesato tanto.
Confesso che io, gli altri tre libri che completano la storia, non li ho mai voluti leggere perché (anche questo lo ricordo come se fosse ieri) la mia compagna di banco delle elementari, dopo che le parlai di questo libro meraviglioso che avevo letto durante l'estate, mi disse che la sorella maggiore, che andava già alle medie, aveva anche gli altri libri di "Piccole Donne" e che la storia non finiva come credevo io. Mi disse che Beth moriva e che Laurie non sposava la sua vecchia amica Jo, con cui stava benissimo e si divertiva da matti, ma Amy mentre Jo si sposava ormai già grande con un vecchio professore tedesco. No, cazzo, potevo passare sopra pure alla morte di Beth ma che era 'sta storia che Jo non si sposava con Laurie ma col vecchio? Vi giuro, una rivelazione che mi arrivò come una pugnalata del tipo "Babbo Natale non esiste" (cosa che, tra l'altro, io già sapevo benissimo perché, come scrissi anni fa in un vecchio post, i miei ci avevano detto da piccoli che i regali non li portava affatto Babbo Natale, che era finto, ma Gesù Bambino, che invece esisteva).
In questo film Jo si prende una doppia rivincita: la prima è che, per la prima volta da che io ricordi nei vari adattamenti cinematografici o a cartone animato, il professore tedesco non è un vecchio colto ma poco attraente ma quel gran figo francese di Louis Garrel.


L'altra rivincita è che il personaggio gioca, in un dialogo col suo editore dopo che finalmente sta per vedere pubblicato il suo primo romanzo, col fatto che sposarsi sia, più che altro, un artificio per dare il classico "happy ending" anche ad un'eroina che di classico non ha assolutamente nulla, specie se ci ricordiamo che questa storia è stata scritta nell'800. Eppure, in un momento in cui Jo parla con la madre ed io ho consumato almeno mezzo pacchetto di fazzoletti, la nostra beniamina lo dice chiaro chiaro: "Il fatto è che io sento che le donne hanno una mente e hanno anche un'anima, così come un cuore, e hanno delle ambizioni e hanno talento, non solo la bellezza. E sono così stanca delle persone che dicono che l'amore è l'unica cosa a cui posso aspirare, sono stufa di sentirlo... ma sono anche tanto sola..."
Quando ero alle medie, avevo - credo - circa 12-13 anni, la mamma di una mia compagna di scuola, una domenica in cui salìì a casa sua, disse a me e alla figlia: "Se posso dirvi una cosa che ho imparato negli anni è che prima dovete fare tutto quello che avete voglia di realizzare nella vita: studiare, viaggiare, divertirvi, imparare cose nuove, e solo dopo potrete pensare a sposarvi e fare le mamme". Mi sembrò un concetto molto interessante e rivoluzionario e lo riferii a casa mia. La risposta di mia madre fu: "Bisogna vedere chi ti vuole ancora, dopo che è passato tutto quel tempo". Mamma, forse avevi ragione, perché nel romanzo della mia vita io son rimasta a vivere da sola e non è la prima scelta che avrei voluto quando avevo vent'anni e mi immaginavo "da grande" ma, mi dispiace, più di te aveva ragione la mamma di Maria Domenica, la mia compagna di scuola delle medie, perché, come dice la signora March, la mamma delle quattro sorelle, nel film, "meglio essere una felice zitella che un'infelice moglie o una sciocca signorina che corre in giro a cercarsi un marito". Che, magari, un giorno capirà pure da che parte soffiare via la polvere dal cassetto dei suoi sogni più antichi e veri.

lunedì 6 gennaio 2020

L'anno del VORREI

"Stamattina all'alba, mentre correvo al lavoro e ancora doveva diventare giorno, l'ascoltavo per strada e non sapevo se mi commuoveva più Anna come sono tante, Anna permalosa, o Marco lupo di periferia, Marco col branco, Marco che vorrebbe andar via, mentre mi sentivo un po' Anna e un po' Marco".


Questo scrivevo, il 9 marzo di quest'anno appena trascorso.
Nei giorni passati, ho cercato di fare un uso di facebook che avesse un senso e sono andata a ritroso sulla mia pagina rileggendo tutto quello che avevo scritto nel 2019 per poterlo ricostruire, attraverso i film che ho visto, le persone che ho incontrato, i luoghi che ho visitato e, soprattutto, la tanta, tantissima musica che ho ascoltato. Lo scopo era capire cosa mi lascia di buono questo anno e cosa, di questa bontà e bellezza, anche quando sono state strazianti, è condivisibile con altri.

Per qualche motivo che non è chiaro nemmeno a me, la canzone del buon Lucio e quelle parole che avevo scritto di corsa per strada tanti mesi fa mi hanno colpito più di tutte, forse perché fotografano un anno per me "interlocutorio", di quelli né belli né brutti, non orribile ma nemmeno memorabile. L'anno del VORREI.

Un altro post che mi è risuonato tra i tanti che ho riletto è stato quello in cui parlavo del concerto degli Anathema, un gruppo che chi mi conosce da più tempo sa quanto mi è caro, il giorno dopo in cui avevano suonato a Roma, in giugno, e citavo una loro canzone che amo particolarmente, "Closer", riportando queste parole: "IL TUO MONDO DEI SOGNI E' UN POSTO MOLTO SPAVENTOSO... E' UN POSTO MOLTO SPAVENTOSO IN CUI RESTARE INTRAPPOLATI PER TUTTA LA VITA. RISPLENDI NEL TEMPO, RISPLENDI NEL TEMPO FINCHE' TROVERAI CHE SEI PIU' VICINO ALLA VERITA'."



Ecco, io ho appena messo alle spalle un altro anno in cui sono rimasta intrappolata nel mio mondo dei sogni, almeno per quanto riguarda un paio di argomenti-base nella mia vita, e sono ATTERRITA dall'idea di viverne un altro, o molti altri, così.
Cosa si può fare? Non lo so.
Tutte quelle stronzate del tipo "Tu solo hai il potere di cambiare la tua vita" mi urtano il sistema nervoso. Avrò anche il potere ma se non so dove cazzo sta è come essere proprietari di una casa di cui non si possiedono le chiavi.
Mentre cerco 'ste dannate chiavi, vi lascio un po' di spunti divisi per argomenti che mi hanno tenuto compagnia, fatto sognare, riflettere, commuovere, in questo 2019 ormai già lontano di sei giorni.

Tv: "Che ci faccio qui" di Domenico Iannacone e "Volevo fare la rockstar".
Premesso che non guardo molta televisione, il programma del giornalista molisano Iannacone è straordinario nel raccontare storie vere con uno sguardo attento, rispettoso e partecipe. Su Rai 3, in prima serata, vanno ancora in onda delle repliche. Se non riuscite a sintonizzarvi per tempo c'è sempre Raiplay in internet, grazie a cui potete recuperare anche l'altro programma che vi segnalo, una fiction tratta da un blog che seguo da anni, di cui trovate il link in basso a destra sulla mia pagina. Avevo sinceramente paura che lo sceneggiato facesse carne da porco delle vicende che Valentina Santandrea racconta sul suo blog, invece gli autori, grazie anche ad attori indovinati per le varie parti, sono riusciti a creare un prodotto piacevole e che dà una visione della famiglia italiana che finalmente esce dal quadretto del Mulino Bianco.



Dischi: Tool, "Fear Inoculum" e Nick Cave & The Bad Seeds, "Ghosteen".
Su "Fear Inoculum" scrivevo il 30 agosto, giorno della sua uscita: "Confesso che uno dei motivi che mi hanno portato a rinnovare Spotify Premium anche dopo lo scadere della promozione era ascoltare quest'album il primo giorno di uscita senza interruzione mentre smadonno alla fermata dell'atac a giornata appena iniziata. Colonna sonora IDEALE".


Anche del disco di Nick Cave ho scritto nel giorno della sua uscita, il 4 ottobre, lodando la splendida iniziativa della sua casa discografica di mandarlo in rete per un ascolto gratuito collettivo con testi in sovrimpressione. Mi auguravo, allora, che glielo facessero presentare in Italia in posti degni e, per quel che riguarda Roma, sono stata accontentata perché suonerà alla Cavea dell'Auditorium giovedì 11 giugno. Non potevo chiedere di meglio per un Artista del genere. Il disco non è facile ma è il vero canto di addio al figlio, visto che il precedente "Skeleton Tree" era già ampiamente in lavorazione quando il ragazzo, nel 2015, morì cadendo da una scogliera. Se le facili consolazioni non vi danno alcun giovamento ma volete dare voce ad un dolore troppo grande per voi, avete trovato il vostro album. Ascoltarlo e leggerne i testi tradotti è catartico. Per me, capolavoro totale, poi però lavatevi il viso dalle lacrime e correte ad accarezzare il vostro animale domestico, o a guardare il mare.



Libri: "Momenti straordinari con applausi finti" di Gipi e "Il racconto dell'ancella" di Margaret Atwood.
Il fumetto di Gipi è stato uno dei regali che ho ricevuto per Natale. In realtà, era un regalo "a richiesta": avevo ascoltato l'intervista che aveva rilasciato a Daria Bignardi nel suo programma, "L'assedio", e lo avevo sentito parlare dal vivo alla manifestazione "Più libri più liberi" e mi ero incuriosita tantissimo. Il libro è splendido, chi ha più competenza di me a livello grafico (ci vuole poco) penso ne coglierà anche sfumature che io non sono in grado di notare ma è soprattutto il modo in cui è narrata la storia che contiene a renderlo un lavoro speciale. Mi chiedo sempre come facciano alcune persone a parlare di qualcosa di personale risultando universali o, quanto meno, condivisibili.


Un altro libro che mi è piaciuto moltissimo, tra i tanti che ho letto quest'anno, è "Il racconto dell'ancella". Il romanzo è stato dato alle stampe nel 1985 ma sembra scritto ieri, tanto è attuale e potente. Quest'anno, dopo ben 34 anni, è uscito il suo seguito, "I testamenti", che ho acquistato ma non ancora letto, un po' temendo che non sia all'altezza del libro che lo ha preceduto ma la delusione è un rischio che correrò. L'autrice, Margaret Atwood, ha compiuto 80 anni l'anno scorso ma è ancora una donna lucida e innamorata della vita: da lei c'è molto da imparare.


Film: "Rocketman" e "Joker".
A entrambi questi film ho dedicato un post sul blog nei mesi della loro uscita in sala. Considerato che quest'anno ho scritto pochissimo, potete immaginare quanto mi abbiano colpito, pur non avendo nulla in comune l'uno con l'altro.

Live: Foo Fighters, Omar Pedrini, Tamino.
Da ricordare quest'anno, nella miriade di concerti a cui ho partecipato, scelgo tre live diversissimi, forse l'unica cosa in comune è che si tratta di 3 uomini.
I Foo Fighters sono stati un'autentica, piacevolissima sorpresa, bravi, simpatici, emozionanti, a coronamento di un'esperienza, lo Sziget Festival, che non è arrivata per caso alla sua ventottesima edizione.



Pedrini e Tamino sono l'ultracinquantenne (anni portati da dio, però) e il giovanissimo, con storie, esperienze e generi per ovvi motivi, come quelli anagrafici e geografici, distantissimi ma accomunati da grande amore per quello che fanno. Mi hanno colpito ed emozionato entrambi, li ho trovati sinceri e innamorati del loro meraviglioso lavoro di musicisti.



Omar Pedrini ha detto che starà fermo per un po', anche se questo è l'anno del ricordo della profetica "2020" dei suoi Timoria. Tamino spero abbia prestissimo la possibilità di esibirsi su un palco prestigioso come potrebbe essere quello dell'Auditorium Parco della Musica. Lo merita.



Posti: Chiesa di Sant'Oliva, Cori (LT) e Cimitero delle Fontanelle, Napoli(Inkiostro - Rassegna di musica e scrittura)
Ho avuto la fortuna di poter partecipare a Cori, presso la deliziosa chiesa di Sant'Oliva, ad uno dei live della rassegna Inkiostro, che si occupa di portare in quel territorio così difficile da raggiungere se sei senza macchina proposte di musica di qualità eccelsa. Il paesino intero mi è sembrato molto bello ma, quando ci sono stata, eravamo a tramonto inoltrato e non c'è stato tempo di visitarlo. Collaborazione di amici in macchina permettendo, mi riprometto di farlo quanto prima.
Il Cimitero delle Fontanelle a Napoli, invece, è un posto con una storia particolarmente interessante, da conoscere e visitare con il rispetto che si deve alla vita anche quando finisce o, per chi ci crede, continua in un'altra dimensione.



La notizia musicale: si riuniscono i Rage Against The Machine.
Quando ho letto che, nel 2020, sarebbero tornati a suonare insieme, anche se per ora lontano dai palchi europei, sono stata felicissima. Un giorno dell'anno appena trascorso, quando ancora questa notizia non era neanche nell'aria, in una situazione di gruppo in cui dovevo dire ai partecipanti come stavo, le mie parole sono state: "Qualcuno di voi si ricorda di un gruppo che andava fortissimo a metà degli anni '90? Si chiamavano Rage Against The Machine, Rabbia Contro la Macchina. Ecco, io sto così, con tutta la mia rabbia contro la macchina di un sistema che mi fa schifo e da cui non riesco a liberarmi".
Sarà questo nuovo anno, bisestile, iniziatore di un nuovo decennio, quello in cui diventerò capace di usare questa rabbia come carburante per allontanarmi da quello che non riesco più a sopportare e ad andare verso una vita più "degna"? Io lo spero, con tutto il cuore.