sabato 25 luglio 2020

La gentilezza che ti sa sorprendere (e a volte ti salva): ho ascoltato lo streaming di "Idiot Prayer- Alone at Alexandra Palace" di Nick Cave.


Penso di non aver mai mandato così tanti messaggi privati di condivisione come oggi dai tempi del lockdown ma è sabato, sono da sola e da ieri qualcuno ha caricato su youtube la registrazione INTEGRALE, di un'ora e ventinove, del concerto che Nick Cave ha registrato, voce e piano, all'Alexandra Palace di Londra.
Mi ero lamentata del fatto che lo streaming del concerto fosse a pagamento, venti euro ed era pure registrato, ma qualcuno ha deciso di condividerlo. Qualcuno. Forse ha ragione Sabrina, la mia amica che sostiene che l'utente Noah che ha messo il filmato su youtube possa essere proprio lui, Nick in persona. La qualità audio e video è altissima e poi, la verità, quando mai una condivisone pirata di un artista internazionale, su un canale a diffusione immensa come youtube, è rimasta in rete per più di poche ore?
Questo video, invece, è lì da stamattina, non so per quanto ancora.
Ed è immenso, è bellissimo quello che Nick Cave riesce a fare con la sua sola presenza, un pianoforte e le sue canzoni.
Mi chiedevo: "Ma come fanno le persone ad ascoltare musica di merda quando esiste qualcosa di così bello?" e non si tratta di snobismo, fidatevi.
La mia conoscenza dell'inglese è molto basica, definiamolo un buon inglese scolastico ma nulla di più, quindi molte parole non le capisco al primo impatto ma mi suscitano tali sensazioni, tali emozioni, a volte mi commuovo fino alle lacrime senza capire quasi nulla di quello che sto sentendo, mi sento come forse si sente Lila, uno dei personaggi de "L'amica geniale" della Ferrante, di fronte a quei libri che nessuno le ha fatto studiare ma che l'affascinano, che lei avverte che NUTRONO profondamente il suo cuore e nulla e nessuno potrà tenerla lontano da loro.
Vado a leggermi le parole, c'è il sito ufficiale italiano che cura le traduzioni di tutti i suoi pezzi e scopro che avevo ragione, che ho ascoltato una canzone bellissima e il suo significato mi è arrivato AL DI LA'.
In questo concerto all'Alexandra Palace ci sono un sacco di vette altissime, canzoni che già amavo come "Girl in Amber" o "The Mercy Seat" ma, per me, il capolavoro è l'esecuzione di "Papa won't leave you, Henry", pezzo che arriva terz'ultimo in scaletta.
E' una canzone che dice, tra le altre cose: "Bene, la strada è lunga, la strada è impervia e molti cadono lungo il cammino ma papà non ti lascerà, Henry, quindi non c'è bisogno di piangere".
Viene cantata in un modo così intenso, così drammatico che è impossibile rimanere indifferenti.



Ho pensato ad una persona che conosco bene che lavora nel campo della salute mentale, che mi ha detto che questo lockdown e tutto quello che gli sta venendo dietro, la minaccia continua di ammalarsi, di tornare ad essere rinchiusi, di infettarsi o infettare i propri cari, ha mandato completamente fuori di testa un sacco di persone. Chi stava lavorando al suo "centro di gravità permanente" ma ancora non aveva raggiunto risultati apprezzabili, spesso è finito in psichiatria, o peggio.
Ho pensato che ti serve sempre costruire un "papà interno" che ti dica "lo so che è dura ma, qualsiasi cosa succeda, io non ti lascerò mai".
Nick Cave ha intitolato questo concerto "Idiot Prayer" sicuramente come omaggio alla canzone di "The Boatman's call" con cui apre l'esibizione ma anche in maniera ironica. La preghiera di un idiota, per lui, che è considerato un genio assoluto. E' proprio vero che solo gli stupidi non hanno mai dubbi mentre gli intelligenti si fanno un sacco di domande e, anche nel dolore immenso, sanno condividere e, se serve, scherzarci su.

martedì 21 luglio 2020

We could be "congiunti" just for one day.


Ve lo ricordate quando, a marzo di quest'anno, scattava il momento del flashmob musicale dai balconi e i giornali esteri scrivevano "Ah quanto sò simpatici, questi italiani canterini, che si fanno coraggio intonando note dalle  case in cui sono reclusi per la pandemia?"
Ecco, nei rarissimi momenti in cui ho pensato "Era meglio il lockdown", è bastato questo ricordo a scacciare ogni desiderio malsano di tornare indietro.
Scherzi a parte, sono passati solo 4 mesi da allora ma sembra davvero trascorsa una vita.
I concerti, per come li conosciamo noi appassionati soprattutto di alcuni generi e artisti che prevedono stretto contatto fisico tra fan, per il momento sono sospesi ma, per fortuna, la musica non è finita.
Non credete a chi vi dice che in giro non c'è nulla: non c'è nulla come era una volta (anche se io stessa mi sono trovata in contesti con pochissime regole, in cui evidentemente, per gli organizzatori, i racconti dai pronto soccorso degli ospedali del nord sembravano storie di fantascienza) ma qualcosa si muove, e anche alla svelta.
Io, in dieci giorni esatti, son passata dalla chiacchierata che FRANCESCO MOTTA ha fatto con il giornalista Luca Valtorta nell'atrio esterno al Maxxi, chiacchierata accompagnata da sei pezzi suonati dal vivo voce e chitarra, al concerto di CRISTINA DONA', con una band di ben SEI elementi, che in una delle piazze storiche di San Benedetto nel Tronto, nelle Marche, ha portato uno spettacolo che lei stessa ha ricordato essere stato creato, ormai quattro anni fa, in occasione del festival toscano "Fabbrica Europa". A lei - e al suo batterista Cristiano Calcagnile, autore di tutti gli arrangiamenti - gli organizzatori avevano chiesto di ideare uno spettacolo che raccontasse, attraverso una serie di pezzi propri e altrui, il rapporto dell'uomo con l'elemento acqua.
Ne è venuto fuori un concerto bellissimo, con una serie di chicche che - incredibile ma vero - in questi tempi in cui tutto viene ripreso e messo in rete non si trovano nemmeno su youtube e possono rivivere solo nei ricordi e nei racconti di chi c'era.
Cercando "Cristina Dona' scaletta seasongs", mi sono imbattuta in un vecchio post su fb scritto proprio dalla Dona' e risalente al 2016. Nei commenti, la ringraziavo della scelta delle splendide canzoni e le suggerivo (dannata festa delle medie) di inserire nelle future scalette un pezzo di Tori Amos, "One Thousand Oceans". La Donà non mi si è filata minimamente e il brano, anche se  ancora penso che fosse adattissimo, non è mai entrato nello spettacolo ma lo stesso ho pensato che il buon Antonellone Venditti quando scriveva "Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano", aveva dannatamente ragione.
In questi quattro anni, non è venuto "Seasongs" a Roma, sono andata io da "Seasongs", evidentemente ci dovevamo incontrare prima o poi, e mi fa sorridere pensare che sono stata ad un concerto che parla (anche) di mare nell'estate in cui più di tutte non si dibatte di quanto siamo riusciti a rendere una schifezza questo pianeta, e quindi anche il mare, coi nostri comportamenti sconsiderati ma di quanta distanza sia necessario tenere tra un ombrellone e l'altro per non infettarsi col coronavirus.
Bella come una regina nera, con la sua camicia e la sua gonna lunga e scura, ma mai veramente e profondamente "dark" perché c'è sempre una luce buona che traspare nelle sue parole e nelle sue note, Cristina Donà e i suoi (ottimi) musicisti ci hanno traghettati in una serata tanto fredda (incredibile pensarlo qui a Roma, col condizionatore acceso da ore) quanto densa.
Solo chi ama la musica davvero, solo chi pensa che la musica gli ha salvato la vita, l'ha resa migliore e più degna di essere vissuta, solo chi nei mesi del lockdown si è commosso e ha pianto vedendo e rivedendo i filmati dei concerti e pensando "E' finito tutto", penso possa capire pienamente la gioia e l'emozione di risentire dal vivo uno strumento amplificato suonare, una voce cantare una canzone amata.
La scaletta riportata nel vecchio post di fb è più ricca di quella presentata a San Benedetto, per esempio di Nick Cave è stata fatta solo una divertente versione di "The weeping song", con Vincenzo Vasi, il suonatore di theremin visto tante volte con Vinicio Capossela, a duettare con Cristina, nei ruoli che nel pezzo originale furono di Cave e di Blixa Bargeld.
C'è stata Weird Fishes dei Radiohead, ci sono stati Nick Drake e l'amato Robert Wyatt, c'è stata "Onda su onda" di Paolo Conte, ci sono state "Goccia", "In fondo al mare" e "Come le lacrime" dal repertorio di Cristina. Lei stessa ha presentato "Come le lacrime" dicendo: "E' un pezzo che facciamo poco". Non lo ascoltavo da tanto anch'io e, anche se l'analogia tra il sale del mare e quello delle lacrime è abusatissima da poeti e autori di ogni epoca, quando è arrivato il ritornello che dice "Oggi rinasce una parte di te, quella più vera, libera di andare dove non c'è più paura", mi sono commossa perché si era stabilita una connessione perfetta tra quello che sentivo e quello che stava succedendo sul palco. Stavo rinascendo, stava rinascendo quella forza che mi fa dimenticare tutte le paure, tutte le viltà, che mi fa andare dove veramente voglio essere.


Il concerto ha avuto una conclusione all'altezza di tutto il meraviglioso tempo precedente: una versione incredibile di "Come è profondo il mare" di Lucio Dalla, in cui Cristina ha sussurrato, ha cantato, ha urlato questa canzone scritta nel 1977, quindi 43 anni fa, ma sempre attualissima come succede solo ai capolavori, a ciò che merita amore e rispetto. Come il mare.