giovedì 24 febbraio 2022

Se le lacrime fossero liquore... ci vediamo al di là, Mark.

 Non sono riuscita a scrivere niente due giorni fa, il giorno della maledetta data palindroma, perché il cordoglio social mi fa orrore (anche se non ne sono certo immune), come mi faceva orrore una persona - che frequentavo tempo fa - che sembrava provare un gusto perverso nell'essere sempre la prima a comunicare a noi amici lutti e sventure varie.

Mi dispiaceva, però, l'idea che finisse come per Franco Battiato - un grandissimo dolore che, in certi momenti, per esempio quando ascolto "Ci vuole un'altra vita", avverto pari a quello che si prova se muore una persona cara - su cui non sono riuscita mai a scrivere nulla, anche se ancora continuo a pensarlo e mi sembra impossibile che non lo vedrò mai più dal vivo, mai più sentirò la sua voce se non dalle incisioni.

E allora addio Mark Lanegan. Mi ha fatto piacere chi mi ha detto: "Quando ho letto della sua morte, ti ho pensata" perché quella persona sapeva che lo adoravo.

Impossibile stare appresso alla sua produzione sterminata. 

A 57 aveva collaborato con chiunque. 

Nella sua biografia dal titolo eloquentissimo, "Sing backwards and weep", "Canta all'indietro e piangi", che ancora non ho letto ma che voglio recuperare quanto prima, so che racconta di anni durissimi, pieni di droga e di bisogno di soldi, perché drogarsi come un dannato è facile quando hai il denaro che ti esce pure dalle orecchie (e anche lì, se non c'è qualcuno che ti aiuta ad amministrare le risorse, a una certa tutto finisce), ma non se sei un cantante e autore di culto sconosciuto alle masse, tanto che il buon Max Collini, l'uomo più taggato d'Italia il giorno della morte di Mark Lanegan, aveva inserito il verso "Ma io lo so chi è Mark Lanegan" nel pezzo degli Offlaga Disco Pax del 2006 "Tono metallico standard" raccontando l'esemplare vicenda di chi, superbamente, crede di poter affibbiare a qualcuno un'etichetta, per esempio di persona poco esperta e appassionata di musica, solo in base al suo aspetto esteriore. In quel pezzo, Lanegan era citato come esempio di autore e interprete di grande qualità ma sconosciuto ai più.

Mi sono sempre chiesta se queste numerosissime collaborazioni venissero da lì, dalla necessità di far cassa, ma, nello stesso tempo, sono sempre rimasta affascinata dal fatto che da ogni progetto artistico, seppur diversissimo, Lanegan riuscisse a tirar fuori quanto meno qualcosa di dignitoso, quando non di bellissimo, come nel caso dell'album di cover "I'll take care of you", uno dei miei dischi preferiti, specie quando torno distrutta a casa la sera e vorrei solo qualcuno che mi abbracciasse. 

Non c'è nessuno e allora mi faccio abbracciare dalla musica.

Scoperto tardi, avevo sempre ascoltato in streaming quest'album. Per un breve periodo, stavo uscendo con una persona a cui pensai potesse piacere e comprai questo disco ma il tale in questione sparì dalla mia vita prima che potessi dargli il regalo. 

Meglio così: lui nemmeno baciava granché ma il disco mi è rimasto.



Il mio album preferito di Mark Lanegan rimane "Blues Funeral" del 2012, l'anno in cui per la prima volta andai a sentirlo dal vivo, all'Orion di Ciampino. 

Quel disco era stupendo già a partire dalla grafica che riprendeva le vecchie tappezzerie inglesi, quelle che, a volte, si trovano ancora nei pub meno modaioli.



Sono andata a rileggere il post in cui parlavo di quel concerto: scrivevo che, mentre lui era sul palco con la band, mi ero detta: "Qui sta succedendo qualcosa di bello" ed è stato così, in quella voce di carta vetrata c'era dolore e c'era consolazione, una vita sregolata eppure una professionalità eccellente, con tutto che dichiarava di non aver mai studiato canto.

Quando gli amatissimi Afterhours celebrarono il loro disco più famoso, "Hai paura del buio?", con una riedizione dei pezzi dell'album cantati in collaborazione con artisti da loro stimati, a Lanegan toccò "Pelle", che è per me LA canzone d'amore per eccellenza, quella che mi hanno dedicato voce e chitarra, quella che mi fa piangere sempre, maledetto congegno che non si spegne da sè.

Attendevo con trepidazione questa versione e grande fu la mia delusione quando scoprii che Lanegan era nel bel mezzo di un esperimento in cui aveva deciso che voleva cambiare modo di cantare e, della sua voce sofferente, cercava di cancellare ogni traccia: sembrava più Mal dei Primitives, come scrisse qualcuno ai tempi, facendomi molto ridere.



Per fortuna, quell'esperimento non ha avuto seguito e Lanegan è tornato alla voce che conoscevo e amavo. Nel luglio del 2018, un periodo che ora, con tutto quello che è successo fino ad oggi, mi sembra lontanissimo, partii da sola per la Toscana per una doppietta in cui, nel giro di tre giorni, mi sarei spostata in treno da Roma per vedere sul palco lui a Pistoia e, a distanza di 48 ore, un altro mio mito musicale, Nick Cave, a Lucca.

Lanegan, in quell'occasione, mi sembrò invecchiatissimo rispetto al 2012, sensazione accentuata dalla presenza della giovane compagna - o moglie - a fargli da corista e dal modo altamente discutibile con cui si era rivestito i denti di faccette dorate, come credo non facciano più nemmeno nei campi rom a Bucarest.

Sul palco, però, quando cantava, era ancora magnifico. 

All'inizio del 2020, il Cinzella Festival, che si svolgeva dall'anno precedente in agosto alle Cave di Fantiano, verso Taranto, lo aveva annunciato come headliner, lanciando una prevendita a prezzo stracciatissimo. Non acquistai nulla solo perché il concerto era a ferragosto e ogni anno, dove lavoro, in quei giorni vince le ferie chi azzanna di più e io non sono mai stata una tipa mordace. E' arrivata la pandemia e tutto è stato cancellato. Quando gli organizzatori del Cinzella, il giorno della morte di Lanegan, hanno scritto sulla loro pagina facebook "Noi ci avevamo provato a portare una leggenda alle Cave di Fantiano", ho pianto perché ho realizzato che non lo avrei mai più rivisto dal vivo, né alle Cave di Fantiano né altrove.

L'ultimo ricordo che ho di lui è legato alla mia radio preferita, Radio Elettrica.

Un paio di settimane fa avevo vinto un contest della radio in cui bisognava indovinare il titolo di un libro a partire dagli indizi dati dalla speaker. 

Io avevo indovinato subito, mandando la risposta via whatzapp, e la speaker mi aveva fatto i complimenti, scrivendomi che era raro che qualcuno indovinasse al primo indizio. 

Il libro era "Lolita" di Vladimir Nabokov e il premio consisteva nel poter scegliere la canzone che avrebbe chiuso la trasmissione.

Avevo scelto "Where did you sleep last night", specificando che la volevo sentire nella versione di Mark Lanegan piuttosto che in quella famosissima dei Nirvana, perché mi sembrava che l'interpretazione di Lanegan fosse più adatta a descrivere il tormento di un uomo che si strugge per una donna molto più giovane di lui, tanto che nella canzone non si capisce mai se l'autore parli della sua donna o di sua figlia.

L'altro ieri sono andata a riprendere l'anno di uscita del disco, "The winding sheet", che conteneva quel pezzo. Era il 1990, Mark aveva 25 anni. Che strano pensare che, nella sua voce, fosse già contenuto un dolore così adulto. 

Chi lo ha conosciuto gli ha dedicato parole toccanti, come Eddie Vedder che ha scritto: "All'improvviso ho incominciato a tremare e sentirmi male. Ho avuto una reazione allergica alla tristezza..." ed è impossibile non credergli, ora che, per l'ennesima volta, gli tocca la parte del sopravvissuto.

Il giornalista Luca Garrò su Rolling Stone Italia ha scritto un bellissimo articolo per ricordarlo e spiegare perché a tanti di noi mancherà come può mancarti un amico perso.

Adesso addio Mark, o arrivederci, non lo so, non lo sa nessuno.

Per dirla ancora con le parole del tuo fan Max Collini - ma non con quelle che ti aveva dedicato bensì con quelle che, in un tempo lontanissimo, qualcuno dedicò a me - "non sarai mai un'emozione da poco".



sabato 5 febbraio 2022

Sei bellissima, mia ora di libertà.

E' verissimo che Sanremo è un polpettone avvelenato come la mela di Biancaneve che, per cinque giorni l'anno, ha il potere di addormentare gli italiani, distraendoli dai numerosi problemi reali delle loro vite.
E' pure vero, però, che, da quando ho smesso di fare la snob che per partito preso non lo guarda, in ogni edizione, anzi, addirittura in ogni giornata, io ho trovato sempre qualcosa che mi ha emozionato, mi ha divertito o, semplicemente, mi ha fatto pensare.
Nella fetta di polpettone di ieri, serata delle cover, ci finiscono due artisti che davvero non c'entrano nulla l'uno con l'altro: Giovanni Truppi e Achille Lauro. 
Per motivi diversi, non ho mai amato particolarmente nessuno dei due ma ritrovo di entrambi, stamattina, un pensiero che mi piace condividere.
Truppi ieri ha cantato con Capossela, accompagnato da Mauro Pagani, "Nella mia ora di libertà" di Fabrizio De Andrè e sul suo profilo facebook ha scritto delle parole splendide e lucidissime partendo da questa canzone così incredibilmente attuale pur essendo contenuta in un disco, "Storia di un impiegato", che l'anno prossimo festeggia cinquant'anni.
Riporto una parte delle parole di Truppi, le altre - come ho già scritto - le trovate su fb: 
"Sono convinto che non esistano poteri buoni e che l'unica strada per vivere bene sia abbandonare, oltre al capitalismo, l'organizzazione attuale della società per sperimentare nuove forme di governo e di rappresentanza. Dovremmo lavorare di meno, delegare di meno e dedicare parte del nostro tempo alla gestione della nostra vita insieme su questo pianeta, che è responsabilità di ognuno di noi e alla quale tutti dobbiamo partecipare".
Ovunque sia, pure lo spirito di De Andrè sorride e si compiace di queste parole. 
Stai andando bene, Giovanni, per davvero.


Achille Lauro, invece, ieri ha cantato "Sei bellissima" con Loredana Bertè.
Premetto che "Sei bellissima" è una delle mie canzoni del cuore, addirittura, una volta, l'ho portata in terapia perché col suo testo - per non parlare del modo in cui la interpreta Loredana - riesce a spiegare uno stato d'animo, un modo di stare al mondo, meglio di dieci costosissime sedute.
E' il racconto in prima persona di una donna insicura, legata a doppio filo ad un uomo che la svalorizza ma che sa dire al momento giusto quelle parole che sanno sempre tenerla allacciata a lui. 
Solo lui la fa sentire amata, la fa sentire importante, così pensa lei, e accetta di sentirsi una nullità in nome di un passato che non c'è più, nella speranza di sentire ancora quelle parole che solo lui sapeva dire, per quelle sensazioni che solo lui sapeva farle vivere. 
Non progredisce, sta ferma nei ricordi perché c'è solo lui, solo lui.
Ieri Achille Lauro, da molti considerato un semplice pupazzo di Gucci, ha voluto che si leggesse sul palco una lettera, che era per Loredana - perché per cantare quella canzone con l'autenticità con cui la canta lei, certe storie non puoi che averle vissute sulla tua pelle - ma era anche per tante di noi, vestite di ricordi per affrontare il presente ma che stanno provando a cucirsi un abito nuovo, perché quei ricordi, ormai, son di una taglia che non veste più. 
Se potessi, lo ringrazierei, per essersi messo nei panni di quel fantasma che finalmente decide di andarsene.

"Che strano uomo sono io
Incapace di chiedere scusa
Perché confonde il perdono con la vergogna.

Che strano uomo sono io
Che ti chiamo pagliaccio
Perché pensa di combattere ciò che non riesce a raggiungere.

Che strano uomo sono io
Capace solo di dire "Sei bellissima"
Perché ancora ha paura di riconoscere il tuo valore.

Stasera, "per i tuoi occhi ancora",
Chiedo scusa e vado via".