mercoledì 20 novembre 2019

Tutti i miei "ma" e i miei "sì" su An Evening with Manuel Agnelli @Auditorium Conciliazione, Roma 18/11/2019

Ci vuole una bella dose di amore, e di pazzia (molti di noi sanno che, spesso, le due cose stanno insieme), per avviarsi in un lunedì sera di uno dei periodi più piovosi del nuovo millennio alla volta dell'Auditorium Conciliazione, coi mezzi pubblici, per vedere se c'è ancora un biglietto per lo spettacolo che Manuel Agnelli ha ricominciato da Roma a portare in giro per l'Italia.
Avevo controllato su Ticketone fino a poco prima che ci fosse posto e, effettivamente, posto ce n'era in abbondanza, tanto che alle prime note del concerto molti di noi della piccionaia hanno abbandonato i sedili più poràcci per accedere a poltrone più comode e costose.


Non so se sia stato l'effetto-lunedì, che per un pubblico non certo di ragazzini vuol dire inizio di una settimana lavorativa spesso faticosa, la pioggia, la scelta di un luogo che, per quel che mi riguarda, se pure ha una buona acustica non ha il colpo d'occhio delle sale dell'altro auditorium di Roma, il Parco della Musica, la struttura con più cartelli di raggiungibilità sparsi dentro la città. Fatto sta che la sala era piena per 2/3, non di più. Tra l'altro, lo spettacolo è iniziato con mezz'ora abbondante di ritardo (cosa per cui, se fossimo stati a Milano - come dicevo a qualcuno - avrebbero fucilato Agnelli e D'Erasmo in pubblica piazza) e, considerato che la durata è notevole, siamo sulle due ore e mezzo (quelli che stanno scrivendo che dura tre ore credo abbiano uno sfasamento spazio-temporale), è finito oltre la mezzanotte, giusto quel tanto da far chiudere la metro e passare l'ultimo bus prima dei notturni, col classico ritorno rocambolesco destinato a noi poveri che usiamo il taxi solo se costretti.
Io, però, ero A) in crisi di astinenza da canto a squarciagola di canzoni afteriane; B) troppo curiosa di vedere se, a soli sette mesi di distanza dal precedente "An evening with...", la formula si era rinnovata. Dico subito che sì, si canta e tanto, i pezzi ci sono, da "Bye bye Bombay" a "La vedova bianca", pure "E' la fine la più importante", pezzo splendido e, chissà perché, pochissimo proposto nei live degli Afterours. Non so per quale strano motivo ma dell'ultimo lavoro, "Folfiri o Folfox", in scaletta ci è finita solo "Non voglio ricordare il tuo nome". Molto tempo è dedicato alle cover, a un paio di letture e ai "racconti di vita" agnelliani. Ecco, per me è questa la parte più debole dello spettacolo, quella che dovrebbe essere più sorprendente e che, tra l'altro, nello scorso tour di questo tipo sembrava piacere a tutti. Io sono la voce fuori dal coro e vi dico, invece, che no, io ADORO Manuel Agnelli, le sue canzoni, la sua intelligenza, la sua cultura musicale ma quando ha iniziato a raccontare che da giovane aveva vissuto a Berlino, in affitto in una stanza da una ragazza bellissima che gli piaceva e che la sera scopava forte col suo tipo mentre lui si ammazzava di seghe nella cameretta accanto... ecco, Manuel, è vero che da giovane hai scritto "Il meraviglioso tubetto" e io, visto che è fuori commercio da anni, l'ho dovuto cercare craccato per leggermelo, ma anche meno, fidati. Non vi dico quando ha letto la poesia "La vipera" di Trilussa... allora la prossima volta facciamo leggere qualcosa in dialetto milanese a Venditti e siamo pari. Non sei un attore, Manuel, e nessuno ti chiede di esserlo... non io, per lo meno. Molto meglio è andata quando ha letto un estratto di un libro, "Fuochi" di Roberto Farina, che è stato presentato nel suo locale a Milano, "Germi". Di due cose l'Agnellone sembra orgogliosissimo tra quelle fatte nella sua vita: il locale, appunto, che ha nominato più di una volta e che, come vi avevo scritto dopo esserci stata, è davvero molto "caldo" e curato, e sua figlia Emma.


A questo proposito, per me uno dei momenti più emozionanti del live è stato quello in cui ha detto grosso modo questo: "Ho una figlia di 14 anni, si chiama Emma. Vive un periodo molto turbolento dal punto di vista emotivo ma lo affronta con grande coraggio. Mi fa ascoltare la musica che piace a lei, qualcosa mi convince, qualcosa no, ma anch'io le faccio ascoltare delle cose. Questa appartiene ad un cantautore mancato da poco e vorrei che ad Emma passasse il messaggio che contiene, che pensasse che riguarda proprio lei: il vero amore alla fine ti troverà" ed ha attaccato "True love will find you in the end" di Daniel Johnston. Io ho trovato quel momento così dolce, sincero, AUTENTICO che mi sono commossa.



Bello è stato anche l'omaggio a Lucio Battisti con "L'aquila" e quello a Nick Cave con "Skeleton Tree". Agnelli ne parla sempre dicendo che è rimasto folgorato dal suo live... chissà che non decida di venirselo a sentire a Roma, visto che nel prossimo tour di Nick Cave & The Bad Seeds il posto in cui suonano nella Capitale, l'Auditorium Parco della Musica, è infinitamente più bello di quello scelto per la data milanese, il Forum di Assago.




In definitiva, se state pensando di vedere o ri-vedere Manuel Agnelli in questa veste il mio consiglio è "Pensateci" ma, se l'alternativa è tra comprare un biglietto per questo spettacolo o uno per Milano con l'obiettivo di andare da "Germi", non abbiate dubbi su cosa scegliere.

martedì 5 novembre 2019

Di cinema e altre amenità.

Torno a scrivere dopo tantissimo tempo perché stasera mi è successa una cosa che non mi era mai capitata nella vita: sono arrivata in ritardo al cinema e non sono potuta entrare. Considerato quanto ADORO andare al cinema e che avevo pure un ingresso gratis vinto con un contest, potete immaginare quanto mi rode. Mi ero accorta di essere in ritardo ma mi son detta: "Vabbè, ci provo, son pochi minuti, chiedo di farmi un biglietto per un posto laterale e non dò fastidio a nessuno... e poi è martedì e piove, chi cacchio ci va al cinema di martedì?". Non avevo calcolato che il cinema era in Prati e c'era una fila che lèvate proprio: evidentemente a Prati TUTTI I GIORNI sono giorni buoni per andare al cinema. Posti zero, diceva il monitor all'ingresso: ho alzato i tacchi e me ne son tornata a casa con la metro, ché tanto a Prati manco pioveva.
Ho pensato "Come la faccio la limonata con 'sto bel limone di stasera?". Ci scrivo su, a proposito del cinema, a proposito del fatto che nel weekend ho visto uno di quei film che restano indimenticabili e che, nel mese di novembre, son previste un paio di uscite che, per gli appassionati, potrebbero rivelarsi davvero interessanti.
Il film indimenticabile visto nello scorso fine settimana è il super discusso JOKER interpretato da Joaquin Phoenix, un capolavoro anche se si pensa al fatto che il regista che lo ha diretto non ha nel suo curriculum film così favolosi, stando alla biografia su wikipedia.
Il film è geniale nell'interpretazione, nell'ambientazione, nella colonna sonora. Impossibile non pensare allo stato in cui versa Roma quando si apre la prima scena. Qui non siamo a Gotham City ma neanche ce la passiamo molto meglio.


Non faccio spoiler ma dico solo che il film, con una naturalezza INFINITA, mostra un rovesciamento di ruoli per cui si capisce che il "cattivo" non nasce cattivo e il buono, incarnato dalla figura di Thomas Wayne, padre del futuro Batman, non è quel filantropo che vuole far credere quanto, piuttosto, uno di quei ricchi che si sono coltivati anche con la cultura (due delle scene che lo vedono protagonista sono ambientate dentro e fuori da un cinema) ma che considerano gli altri, in particolare il popolo che protesta, feccia, pagliacci... joker, appunto. A volte al male non c'è spiegazione ma a volte, dietro di esso, si nasconde una storia senza gentilezza, senza sorrisi, senza soldi, senza aiuti, senza medicine perché lo Stato ti taglia i fondi per l'assistenza pubblica.

A proposito, un piccolo spoiler lo faccio, quello di una scena che mi è rimasta particolarmente impressa: la "social worker" con cui Arthur Fleck, prima di trasformarsi in Joker, va a colloquio e che si occupa di procurargli in dosi corrette i farmaci che lui prende per i suoi disturbi mentali, ad un certo punto gli dice: "Arthur, da questo momento non ci vedremo più, il servizio chiude" e lui, sebbene avesse già manifestato l'idea che questi incontri non fossero poi così risolutivi per i suoi problemi, le dice disperato: "E ora con chi parlerò? Chi mi darà le medicine?". La risposta è: "Arthur, a questo sistema non importa niente di quelli come te e, diciamoci la verità, neanche di quelli come me". Ecco, questo potrebbe essere un qualsiasi momento in cui allo sportello Asl in cui lavoro mi trovo costretta a dire ad un paziente che viene a prenotare che la prima ecografia sul territorio è a maggio 2020. Nella risata fuori contesto del Joker, che esplode nei momenti più disparati, io riconoscevo la tosse da reflusso che mi perseguita a periodi alterni ormai da almeno due anni... diventerò una pericolosa criminale? Non credo ma sicuramente c'è qualcosa che i nostri sintomi ci segnalano nelle nostre vite piene di ferite da ripulire e ricucire prima che si infettino.

Fine dello spoiler, passo alla parte PROPOSITIVA, sennò questo post non ha senso di esistere.

In questo mese di novembre, sono previste due uscite al cinema per due eventi che, quasi certamente, saranno solo per amatori ma che potrebbero davvero rivelarsi molto belli. La prima è il film SPIRIT, in sala giovedì 21 e venerdì 22, girato a Berlino da Anton Corbijn, il genio che sta dietro a tantissimi video stupendi (basti pensare a Heart-shaped Box dei Nirvana) e a Control, il film sui Joy Division e Ian Curtis uscito ormai 12 anni fa. In questo nuovo film, Corbijn segue i DEPECHE MODE, uno dei gruppi con cui più spesso ha lavorato, in una delle città che li ama di più, Berlino, ma non si limita a filmare il loro concerto: accompagna le immagini sul palco col racconto delle vite di alcuni fan e di come la musica dei Depeche Mode ha cambiato la loro vita.


Altra pellicola di racconto in uscita, nelle sale da lunedì 25 a mercoledì 27, è FRIDA... di chi parlerà, secondo voi?
Anche questo è uno di quegli eventi Nexo Digital che vanno in poche sale e costano un botto ma, spesso, sono di altissima qualità, vedi "Caravaggio, anima e sangue" o il concerto di Nick Cave a Copenhagen nello scorso tour.


Per quelli che si stanno chiedendo "Ma come, non ci dai nemmeno un suggerimento musicale?", dico che questo mese non ha in programma tantissimo per i miei gusti. Sono in dubbio se andare a sentire per la milionesima volta Manuel Agnelli - purtroppo senza Afterhours -  che questa volta suona lunedì 18 all'Auditorium Conciliazione, luogo che, secondo me, non offre uno spettacolo all'altezza dei suoi prezzi non certo popolari, specie negli ordini di posto più pòracci. Tra l'altro, e lo dico col massimo dell'affetto e del rispetto possibili, o Agnelli si rinnova seriamente in questa sua avventura solista o è meglio che ci vediamo solo da Germi, luogo splendido dove spero di tornare a farmi fare un cocktail con la rosa dentro il più presto possibile.
Per rimanere in tema Afterhours, che c'ho in corso un'astinenza da live pazzesca (che, tra l'altro, chissà per quanto tempo si protrarrà), Rodrigo D'Erasmo, il loro violinista nonché accompagnatore dell'Agnellone anche in questo secondo tour in solo, domenica prossima, 10 novembre, si esibirà con Roberto Angelini portando in scena lo spettacolo "Way to Blue" dedicato alla musica di Nick Drake. Lo vidi tempo fa all'Angelo Mai e fu assolutamente incantevole.
In questa circostanza, i due suoneranno in un posto che pare sia davvero magnifico, la chiesa sconsacrata di Sant'Oliva, e in un orario MITICO: le 18... peccato che il posto sia fuori Roma. Ce la farò a raggiungerlo (ma soprattutto a tornare a casa) coi mezzi di domenica? O riuscirò a coinvolgere qualche amico sufficientemente pazzo e curioso, nonché dotato di macchina? La risposta alla prossima puntata.


mercoledì 21 agosto 2019

Sette concerti per salutare l'estate a Roma.

Non conosco miglior modo per combattere la malinconia da fine vacanze che dedicarsi a qualcosa che si ama fare.
Nell'attesa che vengano svelati i cartelloni dei concerti in programma tra autunno e inverno, in maniera tale da programmare qualche bel live (io, per ora, ho solo il biglietto per Capossela all'Auditorium l'8 dicembre), magari anche in trasferta (una cosa che mi piace molto organizzare), ecco qualche nome che può aiutare ad addolcire il rientro o, per chi non se n'è mai andato, la permanenza nella nostra bella e faticosissima città.

Quasi tutti i concerti che propongo sono nel weekend perché questo è e sarà sempre un blog WORKER FRIENDLY, conscio della cattiva abitudine romana di far iniziare i live ad orario indefinito e solidale con chi si sveglia all'alba (specie per fare un lavoro di merda, che richiede, quindi, il doppio di spazi extra-lavorativi felici per assicurare una buona qualità di vita).
Due location su sette, 'Na Cosetta Estiva e Parco Schuster, accomunano alcuni degli eventi.
Al Parco Schuster ci son stata già due volte quest'estate (Adriano Bono & Reggae Circus e Giancane): è uno spazio grande, ben allestito e facilmente raggiungibile anche con la metro San Paolo.
Di 'Na Cosetta Estiva non vi so dire: hanno avuto un periodo di chiusura a stagione già avviata, per qualche impiccio burocratico, ed è una location che finora ho guardato sempre con diffidenza perché ci si arriva attraverso una strada cittadina MA senza marciapiede. Riusciranno i nostri eroi a non finire nella cronaca nera de Il Messaggero solo perché volevano vedere un concerto ma non avevano la macchina per arrivarci?

  • CRISTINA DONA' e GINEVRA DI MARCO (venerdì 23 agosto @'Na Cosetta Estiva):
Eccole, le due meravigliose creature che mi faranno vincere per la prima volta ogni remora di arrivare a 'Na Cosetta. Straordinarie artiste, con Cristina Donà ho anche avuto modo di parlare un paio di volte a fine concerto e mi è sembrata una persona davvero squisita, positiva e attenta al suo pubblico. Saranno accompagnate da ottimi musicisti e, attraverso un crowdfunding a cui ho partecipato, hanno tirato fuori un cd di pochi pezzi ma bellissimi, che presenteranno, spero, per intero. Se cercate dolcezza VERA e non melassa buona solo per vendere dischi a gente col profilo facebook di coppia, siete nel posto giusto.


  • ALMAMEGRETTA (lunedì 26 agosto @'Na Cosetta Estiva): 
Li seguivo negli anni '90, la loro "Nun te scurdà" mi piaceva tantissimo. In seguito me li sono persi, ritrovando però il carisma di Raiz, il loro cantante, in qualche serata in cui si è esibito da solo (me ne viene in mente una bella al fu Circolo degli Artisti, in cui apriva per qualcuno che non ricordo. Di lui invece sì, mi ricordo... qualcosa vorrà dire). Anche nei periodi in cui la sua carriera è stata un po' appannata, se saliva lui sul palco non ce n'era per nessuno. E' un infausto lunedì ma se mi accorgo che il posto è facilmente raggiungibile (e magari non sono sola), mi piacerebbe riascoltarli.


  • GIUDA (venerdì 30 agosto @Parco Schuster): 
A quelli che mi dicono: "Eh ma li conosci tutti tu", voglio confessare una cosa: io, i Giuda, non li conosco. Però a) è venerdì, b) è gratis, c) Nerds Attack, tra quelli che leggo il sito coi live report più fighi, questa estate ha fatto una bellissima recensione del loro concerto a Villa Ada, scrivendo però che buona parte del pubblico sembrava composto di morti a fronte di una musica trascinante e vitale. Proviamo a vedere se questa volta va diversamente.


  • RICCARDO SINIGALLIA per RENOIZE (sabato 31 agosto @Parco Schuster):
Qui parliamo di un evento "de còre", che si tiene da ben 11 anni, cioè due anni dopo da quando un ragazzo di 26 anni di nome Renato Biagetti, alla fine di una serata sulla spiaggia di Focene, venne ucciso a coltellate da due giovanissimi perché etichettato come "comunista", per il suo impegno nel giro dei centri sociali. Renato adorava la musica, Renoize era il nome che si era dato tra i dj, ed ogni anno la sua famiglia e i suoi amici organizzano un evento per ricordarlo. In un periodo storico in cui a Roma a svariati ragazzi è bastato indossare la maglietta bordeaux del Nuovo Cinema America per farsi pistare di botte, esserci è sacrosanto, tanto più che sul palco, attivo da pomeriggio, la rassegna si chiuderà con un autentico fuoriclasse come Riccardo Sinigallia, che chi legge questo blog o mi conosce sa bene quanto io apprezzi e segua.


  • OMAR PEDRINI (giovedì 5 settembre @'Na Cosetta Estiva):
Omar Pedrini è l'uomo vissuto non due volte ma molte di più. A fronte di svariati problemi di salute, anche seri, non si è mai perso d'animo e ha sempre continuato a stringere i denti per poter tornare a calcare il palco. Anima poetica dei Timoria, chitarrista e autore di tutti i loro testi, come ha già scritto qualcuno supplisce con grinta e cuore a una voce e un'intonazione discutibili. Questo del 5 settembre, poi, è un concerto speciale: si celebrano i venticinque anni di un album storico come VIAGGIO SENZA VENTO (mi chiedo cosa succederà quando finiranno gli anniversari degli album belli usciti negli anni '90). Visto che Francesco Renga, la sua chioma e la sua voce ormai veleggiano per altri lidi, molto più pop, ci faremo andar bene anche la voce di Pedrini, visto che lui è rimasto il Timoria con l'attitudine giusta!


  • BOBO RONDELLI (sabato 14 settembre @Monk):
Di Rondelli ho finito da pochissimo di leggere la biografia, intitolata "Cos'hai da guardare". Avevo un buono Feltrinelli da spendere, ero un po' perplessa se destinarlo o meno a questo libro perché Rondelli stesso aveva dichiarato: "Quello che mi ha convinto a scrivere è stato soprattutto l'assegno anticipato dall'editore" ma alla fine l'ho comprato e devo ammettere che è un volume davvero delizioso, a tratti anche commovente nei capitoli che parlano dei suoi genitori o degli amici. Non so se quello che lo ha mosso è stato il denaro ma è venuto fuori un bel lavoro... magari si riuscisse a mettere tanto cuore nelle cose che facciamo solo per soldi! Rivederlo sul palco sarà un vero piacere tanto più perché al Monk, per quella data, si entra ancora con la tessera del 2018 e chissà, magari questo concerto sarà d'ispirazione per una gita a Livorno, città di provenienza di Rondelli, che le è molto legato, e che non ho mai visitato.


  • FRANCESCO MOTTA (sabato 28 settembre @Auditorium Parco della Musica):
Al 28 settembre l'estate, da calendario, sarà finita già da qualche giorno. Sarà fantastico entrare nella stagione più dolcemente malinconica dell'anno (e nella quale, di solito, Roma è più bella che mai) col concerto di un cantautore che stimo tantissimo, l'unico, insieme a Vasco Brondi, che riesco ad ascoltare nella generazione dei trentenni, l'unico che parla di sé ma parla anche un po' di me, tanto più grande di lui (ma non della sua compagna Carolina Crescentini... evidentemente, frequentare persone più adulte di lui gli apre cuore e mente!). L'ultimo concerto in Auditorium è stato grandioso, con la sua grinta è riuscito a far smuovere tutti anche in un posto che normalmente ingessa anche artisti più navigati. Staremo a sentire, intanto io vi consiglio di farvi un regalo e non perderlo.


venerdì 16 agosto 2019

Cosa conta davvero: la mia seconda volta a Budapest (e allo Sziget).

"E qualcosa rimane tra le pagine chiare e le pagine scure...": questo canticchiavo nella mia testa ieri, giorno di ferragosto, mentre percorrevo tirandomi dietro il trolley le strade deserte e assolate di quello che da un anno esatto è il mio nuovo quartiere.
De Gregori e una delle canzoni più belle della storia della musica italiana c'entrano per quel senso di dolce malinconia che ti lasciano la fine di ogni viaggio e tutti i ricordi che le si legheranno.
Quattro anni fa tornavo in un'altra casa, sicuramente meno amata dell'attuale, di ritorno dalla stessa meta: Budapest.
La malinconia era la stessa, quello che è cambiato è che adesso credo a qualche miracolo in più e, vi garantisco, per una persona diffidente come me credere in qualcosa è esso stesso un miracolo.
Ora credo che si possa affrontare l'ansia di partire con persone conosciute poco o per nulla e trovarsi benissimo, credo che si possa tornare in posti che ci sono rimasti nel cuore anche se le possibilità di farlo sembravano infinitesimali... e credo che, anche se tutti i siti di meteo dicono che pioverà, forse non succederà o non succederà quando dicono loro.
Andiamo con ordine: tutto quello che ho scritto quattro anni fa su Budapest vale ancora ma ho trovato la città abbastanza peggiorata per alcuni aspetti. In giro c'è tanta povertà e non di quella dignitosa ma di quella che sconfina nella miseria nera, che ti fa dormire su un cartone per strada di notte, che ti fa fare i bisogni a vista perché sei talmente ubriaco che non ti accorgi che ti vedranno tutti e, quasi certamente, neanche ti interessa.
C'erano anche quattro anni fa, i senzatetto, ma stavolta mi sono sembrati tanti e più disperati. I negozi brutti, carichi di merce altrettanto brutta, si susseguono senza sosta. Merci, merci, merci ovunque. Non abbiamo visto un solo esercizio carino, uno di quelli che ti fa dire: "Dai, entriamo a vedere cosa c'è dentro". No: alcoolici che costano pochissimo ovunque, dolci che trasudano olio di palma già solo a guardarli, vestiti usati, paccottiglia per turisti.
Restano i parchi, polmoni verdi tenuti benissimo, con le panchine di legno tutte intere e le altalene che funzionano (a Roma avrebbero spaccato tutto da tempo e nessuno si sarebbe curato di aggiustare, tanto l'idea è  che viene tutto distrutto di nuovo nel giro di poco), lo splendido Bastione dei Pescatori e la sua vista incredibile, il lungofiume di notte, con tanti giovani seduti a bere e chiacchierare in tranquillità, in un'atmosfera molto amichevole che mi ha ricordato un po' la Darsena di Milano nelle serate meno caotiche, le terme (sempre splendide le Gellert) che riescono a regalare una giornata di relax anche quando sono affollate, perché saranno anche ruvidi nei modi ma, a livello organizzativo, 'sti magiari sono imbattibili.







Veniamo poi al motivo principale che mi ha fatto programmare di vedere, anzi rivedere, la città di Budapest: lo Sziget Festival.
Non pensavo ci sarei mai ritornata: le amiche con cui ero partita l'altra volta, dopo l'esperienza mi avevano detto: "Tu sei pazza" ed io già mi stavo autoconvincendo che non fosse un posto per me, che ormai son vecchia, che devo fare cose più tranquille sennò divento ridicola.
CAZZATE, sono tutte cazzate.
E' bastato partire con altre persone (alle mie amiche voglio sempre tantissimo bene così come loro a me ma faremo altro assieme) e ho avuto la riprova che, sebbene il target di pubblico dello Sziget sia MOLTO più giovane di me, non è che non esistano persone over 40 che amano quell'atmosfera e non sono lì per mettersi i brillantini sul culo (true story, c'erano culi nudi ovunque, alcuni dei quali ricoperti di glitter) ma per costruire nuovi ricordi belli che parlino la lingua che amiamo e capiamo di più, quella della musica di qualità.
Mentre io pensavo a quanto ancora mi si riattiva facile il sogno di conoscere questo fantomatico uomo della vita in un concerto rock e programmare insieme un bellissimo matrimonio vestiti di nero, con le bomboniere di pelle e borchie e i confetti a forma di teschio, in due giorni (perché quest'anno abbiamo addirittura RADDOPPIATO i giorni di presenza) mi sono vista davvero dei bei concerti.
Io ero lì per Florence + The Machine, che si esibiva come headliner il penultimo giorno della rassegna. Lei resta sempre incantevole e amo la sua musica ma se, come dice, vuole prendersi una lunga pausa dai palchi dopo il concerto che farà nell'Acropoli di Atene a settembre, io non posso che esserne contenta perché, se è vero che mi mancherà programmare di andarla a sentire, il rischio che i suoi inviti al Cosmic Love diventino una macchietta è diventato altissimo.



I concerti più belli, in verità, li ho visti l'ultimo giorno del festival (che era il secondo per noi), quello di Johnny Marr, chitarrista degli Smiths, su tutti.
Passato lo straniamento di non udire la voce di Morrissey, è stato fantastico sentirgli cantare durante il suo set un bel po' di canzoni degli Smiths che davvero hanno fatto la storia, tipo "Bigmouth Strikes Again", "This charming man" e "How soon is now" e pure una riuscita cover di "I feel you" dei Depeche Mode. A un certo punto, si è disteso di schiena sul palco e si è messo a suonare la chitarra, guardando in aria a gambe incrociate, come chissà quante volte avrà fatto da giovanissimo mentre si esercitava a diventare il grandissimo musicista che è adesso.
Quando sono partite le note di "There is a light that never goes out", ho pensato che, a venticinque anni di distanza dalla prima volta che lessi "Jack Fusciante è uscito dal gruppo" di Enrico Brizzi, avevo finalmente la possibilità di sentire dal vivo quelle note di cui lo scrittore bolognese scriveva appassionato: "E se un autobus a due piani si schiantasse contro di noi , sarebbe un modo sublime di morire, e se un camion ci uccidesse tutti e due morire al tuo fianco sarebbe un piacere e un onore, per me. E su nastro era ancora niente!". Ah sublimi cazzate dei vent'anni!!! Quanto avevi ragione, Enrico: su nastro era ancora niente.



Dopo Johhny Marr son saliti sul palco i Twenty One Pilots, gruppo tanto amato dai presenti che andavano dai 12 ai 30 anni circa quanto semi-sconosciuto per tutti noi vecchiardi. Hanno un genere poco definibile, energico ma che col rock non c'entra niente. Il batterista in particolare (sul palco sono in due) ha il fascino del giocatore di calcio: belloccio, fisicato, ok che è bravo ma se la crede come pochi quindi per me è NO, rappresenta tutto quello che non mi piace in un uomo e in un musicista. Meglio il cantante, che ricorderò per essersi cambiato il cappello settecento volte in un'ora e mezza di set e per essersi arrampicato a mani nude su una delle torri più alte del palco. Quello è stato un bel momento: non era Eddie Vedder che si dondola dai tralicci del palco al Lollapalooza del '92 ma comunicava comunque una bella idea di libertà. Ai presenti intorno a me è piaciuto tantissimo, tutti cantavano e ballavano mentre io e le persone con cui ero conoscevamo a malapena un paio di pezzi. Non è stato un brutto concerto ma non penso che inizierò a seguirli.
Quando, all'inizio di questo lungo post, ho detto che ho imparato a non dare più di tanto credito al meteo, mi riferivo al fatto che, durante quella ultima giornata di Sziget, OVUNQUE era scritto che ci sarebbero stati forti venti e precipitazioni nel corso della giornata e, in particolare, la sera. "Possibilità di rovesci 100%", dicevano le previsioni, tanto che la mattina gli organizzatori hanno mandato un alert via mail a tutti i partecipanti (il biglietto si compra online, quindi hanno gli indirizzi mail di tutti) e in sovrimpressione sui maxi-schermi, tra un concerto e l'altro, passavano indicazioni sul fatto che avrebbe piovuto forte e bisognava dotarsi di poncho antipioggia e stivali (gli ombrelli non passano ai controlli e, del resto, avete mai provato a vedere un concerto in mezzo a una pletora di ombrelli aperti e gocciolanti?)
Siamo arrivati alle 20.30 e di pioggia neanche l'ombra, anzi, in cielo c'era una splendida luna gialla a cui mancava solo un ultimo spicchio per essere piena. Sono saliti sul palco i Foo Fighters, ultimo gruppo della rassegna, e ci siamo tutti rassicurati: almeno l'inizio è salvo.
Premetto che io non sono una fan dei Foo Fighters: non li disdegno ma non li ho mai neanche seguiti tantissimo, considerandoli semplicemente una buona band di rock da fm ma, dato che il patto da cui era nato questo viaggio, all'indomani di una serata-tributo ai Nirvana, era stato "Io ti accompagno a vedere i Foo Fighters ma tu mi accompagni per Florence", eccomi!
Da subito, il leader Dave Grohl - e con lui tutta la band - si è dimostrato all'altezza di quel palco immenso: bravo, simpatico ma non di quella simpatia costruita a tavolino che ti fa accapponare la pelle bensì di quella autentica, di chi ama comunicare alleggerendo le situazioni. Non deve essere stato facile, per lui, essere il batterista della band più famosa e autenticamente depressa degli anni '90 e i Foo Fighters, nati subito dopo la fine dei Nirvana, sono stati e ancora sono, credo, la sua risposta per dare spazio a una vitalità SANA, che sicuramente gli sarà mancata in quegli anni in cui diventava famosissimo ma a che prezzo...
Quanti momenti da ricordare, in due ore e mezzo di set!
Ne voglio raccontare un po':

  • L'armonia tra i musicisti, in particolare tra Dave e il batterista Taylor Hawkins, 47 anni di figaggine VERA e ciao ciao batterista dei Twenty One Pilots: questo, oltre a suonare la batteria, canta pure "Under Pressure" facendo le voci sia di Bowie che di Freddie Mercury, bravissimo ma senza prendersi troppo sul serio, lo sa che si sta confrontando con un pezzo mitico e che Dave Grohl che torna al suo posto storico, dietro piatti, cassa e rullante, pista duro come sappiamo.



  • Dave Grohl che dice: "Amo il rock'n'roll, amo il mio lavoro" e solo il cielo sa quanto vorrei dire pure io anche la seconda frase!!! 

  • La presentazione al pubblico della figlia Violet tra le coriste, ciocca di capelli verdi e maglietta dei Nirvana, stile un po' alla Billie Eilish... hai avuto culo, Violet, ad avere per padre il Nirvana giusto, quello che aveva voglia di vederti crescere e ritrovarsi un giorno con te sul palco...

  • LA FINE del concerto. Mentre si addensavano in cielo nuvole nere e della bella luna non c'era più traccia, Dave Grohl dice dal palco che vuole finire il concerto con "gli eroi" della serata: un ragazzo in carrozzella che ogni tanto è stato inquadrato sui maxischermi perché i suoi amici, che evidentemente quanto ad eroismo non scherzano manco loro, lo hanno sollevato sulle spalle con tutta la carrozzella, per fargli vedere il concerto bene, in mezzo alla folla e non in "area protetta", e una ragazza, molto semplice e con un viso molto tenero, un po' da Heidi, che soffiava bolle di sapone in prima fila mentre lui cantava. A chi diavolo può venire in mente una cosa del genere durante un concerto rock? Era una cosa talmente dolce e fuori contesto che, evidentemente, Grohl non è rimasto indifferente e l'ha voluta con sé sul palco, a soffiare bolle vicino al batterista mentre il ragazzo in carrozzella probabilmente viveva uno dei momenti più belli e indimenticabili della sua vita, perso in un abbraccio sul palco che mi ha fatto venire gli occhi lucidi, perché l'abbraccio di un sogno è quello che ci meritiamo tutti, se Mother Nature a volte è stata bastarda con noi.


Partono le note di "Everlong", tutti cantiamo, balliamo, volano sguardi che dicono: "Siamo felici, qui, ora" mentre piano piano cominciano a cadere le prime gocce di pioggia. Il concerto finisce, i saluti coi compagni di concerto si fanno veloci e imbocchiamo supersoniche la via del ritorno. 
E' stato bello come un sogno, un altro di quei concerti mitici che racconterò alle mie nipotine sperando che anche loro trovino un Amore VERO, che faccia battere loro il cuore come fa per me la musica.

martedì 9 luglio 2019

Da un altro pianeta: Skunk Anansie @Cavea Auditorium Parco della Musica, Roma 08/07/2019

Non posso andare a letto senza spendere almeno qualche parola sul concerto degli Skunk Anansie di ieri sera in Cavea all'Auditorium Parco della Musica.
Noi siamo qui che boccheggiamo sbracati in canottiera e mutande, modello ragionier Fantozzi, accalorati anche solo dal digitare sulla tastiera del cellulare, e lei, la mitica Skin, ieri era sotto le luci del palco con dei costumi meravigliosi ma che avevano l'aria di essere pesantissimi (dico solo che ha iniziato sulle note drum'n'bass di Charlie Big Potato indossando una maschera di lattice e che per tutto il tempo ha tenuto i collant... regà, i collant cò 40 gradi... già solo per questo bisognerebbe inchinarsi e portarle rispetto, forse le uniche che ci riescono sono le nonne che portano le calze contenitive per le varici pure ad agosto).


Sta per compiere 52 anni, la nostra Skin, ma ha ancora una voce, una grinta, una presenza sul palco che molte artiste con la metà dei suoi anni non avranno MAI. 
Mi ha ricordato le immagini di Grace Jones, 71 anni, che qualche tempo fa ha sfilato in passerella per Tommy Hilfiger, stupenda come nessuna delle modelle giovani che la attorniavano. Queste sono donne di un altro pianeta, quello del dna giusto, non c'è niente da fare. Allo stesso tempo, però, mi fanno pensare che quello che ti invecchia non è la droga e una vita dissoluta (oddio, pure quella ma non solo): quello che ti invecchia è fare una vita di merda, piena di cose che odi.
Skin e la band ieri in Cavea avevano, invece, l'aria di divertirsi un mondo: visto che siamo in pieno trip anni '90 (a Villa Ada, nella stessa sera, suonavano i Garbage, buona band anche se imparagonabili nel mio cuore agli Skunk Anansie) e OVUNQUE fioriscono tributi a quegli anni, io ieri sera, a un certo punto, ho pensato a Kurt Cobain, 
Sarà che sto leggendo un libro in cui 25 scrittori hanno colto BENISSIMO il mood depresso celato sotto la rabbia espressa dalla musica dei Nirvana ma ho pensato che, se lui avesse trovato la chiave per divertirsi sul palco come ieri gli Skunk Anansie comunicavano agli spettatori di stare facendo, non si sarebbe sparato quel colpo di fucile 25 anni fa.
E' un grande insegnamento: pure la mia vita è piena di cose di merda, tipo un lavoro che odio e da cui non sono capace di liberarmi oppure la scelta di stare in una città faticosa come Roma, dove tutto quello che di negativo vien detto dai telegiornali è tre volte peggio vissuto nella realtà (vi dico solo che ieri sera al ritorno, visto che, per fantomatici lavori di cui non vi è traccia, hanno cancellato il tram che collega l'Auditorium con la metro, la gente si buttava IN MEZZO ALLA STRADA per fermare a casaccio il bus sostitutivo, che non aveva le fermate segnalate da nessuna parte).
Quello che mi salva dallo sprofondare - non mi stancherò mai mai mai di dirlo - è avere delle passioni, avere qualcosa che mi sostiene, che mi nutre, che mi fa sentire che cuore e cervello funzionano, e pure muscoli e polmoni quando ti butti in un concerto adrenalinico come quello di ieri e sai che il giorno dopo ti aspettano dieci ore di quel lavoro che ti fa schifo. 
Ma quanto è stato bello, sola nella folla, mandare la registrazione di Hedonism, mentre tutto il pubblico - me compresa - cantava fortissimo il ritornello, alle mie ex coinquiline degli anni dell'università, quelle a cui ho somministrato dosi massicce di Videomusic ed Mtv Italia durante la nostra convivenza, quelle che mi vedevano cantare le canzoni degli Skunk Anansie, insieme a quelle di molti altri, e un po' mi prendevano in giro e un po' si incuriosivano fino a farsi doppiare le cassette (anni '90, un secolo fa) e scrivermi oggi: "Grazie ancora per avermeli fatti amare".



Io, invece, ringrazio Skin, per i suoi sussurri e le sue urla liberatorie, per quanto è in forma, per quanto ancora è bella di una bellezza libera e poco convenzionale, per come ieri mi ha fatto sbellicare mentre leccava la punta del theremin su Yes it's fucking political, per quando, prima di attaccare My ugly boy, ha detto: "This one is dedicated to everyone is in love... (pausa)... WITH AN ASSHOLE", per quando è scesa in mezzo a noi del parterre e, capito che solo a Nick Cave succede di camminare in mezzo alla folla senza che se lo mangino, ha detto in italiano "No impazziti" per chiedere che il pubblico le stesse vicino senza farle male.
Ringrazio pure chi mi ha detto VAI, anche se è lunedì, anche se questa spesa non l'avevi prevista, anche se sei sola e non sai come tornare da lì. In qualche modo te la caverai e la fiducia è sempre il più bel regalo che ti possa arrivare, che tu sia la rockstar o che tu sia il pubblico.

domenica 16 giugno 2019

"And I think it's gonna be a long long time": sono andata al cinema a vedere "Rocketman".

Qualche giorno fa sono andata a cercare frescura (si sottovaluta spesso, d'estate, il potere refrigerante delle sale cinematografiche) ed emozioni andando al cinema a vedere "Rocketman", il film che racconta la vita di Elton John con la scelta, insolita, di farlo mentre lui è ancora vivo e vegeto, anzi è addirittura il produttore della pellicola
Premesso che questo post conterrà qualche spoiler, che penso comunque non intacchi la godibilità del film per chi, dopo aver letto, deciderà di andarlo a vedere, metto subito in chiaro una cosa: il regista è lo stesso che ha terminato le riprese di "Bohemian Rhapsody", il film su Freddie Mercury uscito quest'inverno (che ha praticamente avuto due registi ma uno solo - quello diverso - è quello che compare nei credits), ma le due pellicole non hanno nessuna somiglianza.
Non so se "Bohemian Rhapsody" vi sia piaciuto o meno, ha avuto tanti detrattori quanti estimatori. Per me è stato un grande "meh": carino il racconto, travolgente l'energia delle canzoni dei Queen ma, appunto, è un film che narra semplicemente una storia, non lo considero certo tra gli indimenticabili.
In "Rocketman" c'è molto molto di più: c'è immaginazione, c'è poesia, c'è sempre una storia ma è permeata di tanti elementi in cui, anche se non siamo pianisti cicciottelli diventati popstar planetarie, ci possiamo riconoscere. Io mi ci sono riconosciuta, per lo meno, e, davvero, non mi sento in nulla simile a Elton John. O forse sì.
Lasciate perdere se odiate i musical: si canta, benissimo, dall'inizio alla fine e poco importa che le canzoni inserite - come hanno tenuto a precisare i fan duri e puri - non seguano un criterio cronologico. I loro testi, che scorrono tradotti in sovrimpressione, sono funzionali a narrare la vicenda, a riprova che l'Artista VERO è quello che, per creare arte, parte scavando dentro la sua vita e la rende un capolavoro di discese ardite e di risalite, per citare Battisti-Mogol.
Questo film è la storia di un percorso in cui chiunque abbia vissuto o stia vivendo l'esperienza di una psicoterapia (che, con un buon professionista, consiglierei a taaaanta gente) si può riconoscere.
Si parte con Elton John con uno dei suoi costumi megagalattici, che cammina a grandi falcate per un corridoio. Uno pensa: ok, sta per salire sul palco. E invece no, sta per entrare nella stanza della terapia di gruppo. In quella stanza entra col costume, resterà in accappatoio e ciabatte e terminerà in tuta e occhiali "normali", non stravaganti come quelli con cui si è fatto conoscere.


Mascherato - nudo e fragile - vestito comodo, come uno che sta a casa sua: QUESTO è un percorso.
Nel film è continuamente presente l'incontro tra Elton adulto ed Elton bambino. C'è un momento in cui incontra i fantasmi di tutti i personaggi importanti della sua vita: lui da piccolo, la nonna, l'amante, il migliore amico. Ai suoi genitori urla: "Ora dovete stare zitti". Lì ho pianto, non mi vergogno a dirlo, perché pare che nella vita di molti Grandi ci sia stata un'infanzia di merda, con genitori che non ti accettano, che non credono in te, che pensano che sia solo stravaganza quello che qualcun altro, se hai la cazzimma di insistere, vedrà come talento.
Ho pianto anche quando si mostra come, dietro quel sorrisone a 32 denti, quella musica così travolgente, c'era tanta depressione. Mi è venuta in mente quella parte del testo di The show must go on dei Queen, che io considero una delle canzoni tristi più mascherate in canzone energica della storia della musica, che dice: "Dentro il mio cuore si sta spezzando, il mio trucco si sta sgretolando ma il mio sorriso regge ancora".
Del resto, la musica di Elton John è Crocodile Rock ma è anche Rocketman, una canzone dolce e malinconica che dice: "Mi manca tanto la Terra, mi manca mia moglie, si sta soli qui fuori nello spazio, in un volo infinito, e penso ci vorrà tanto tanto tempo prima che l'atterraggio mi riporti nei paraggi per scoprire che non sono l'uomo che pensano io sia".
Non so se dopo aver letto le mie parole vi verrà voglia di vedere il film: io l'ho adorato e va sicuramente nel novero dei musical del mio cuore. Forse non provavo una tale emozione da quando ho visto in sala Lala Land.
Stamattina ho scoperto, tra l'altro, che esiste un video BELLISSIMO, uscito nel 2017, della mia canzone preferita di Elton John, quella Tiny Dancer che ha interpretato anche l'amata dea Florence di Florence + The Machine, che quando canta: "When I say softly, slowly hold me closer, tiny dancer", "Quando dico dolcemente, lentamente abbracciami più forte, piccola ballerina" e cambia tono tra le due frasi, non so perché ma mi fa sempre commuovere.
Partite da qui: ci sono tanti personaggi dentro, persino un cameo di Marilyn Manson, e tutti ascoltano la stessa canzone. Mostri e normali. Scegliete il vostro.





sabato 8 giugno 2019

Metti una sera a "Germi".

Tutti coloro che leggono questo blog sanno quanto ADORI gli Afterhours, quanto siano stati (e siano ancora) importanti per la mia vita, quanto la loro musica mi abbia fatto innamorare (una volta non solo metaforicamente) e costruire (a volte per distruggere) una serie di rapporti e relazioni.
Questo post, però, non parlerà di loro ma di GERMI, il locale che Manuel Agnelli, deus ex machina nonché cantante degli After, ha aperto avendo come soci, tra gli altri, la sua compagna Francesca e il violinista del gruppo, Rodrigo D'Erasmo.
Questo locale si trova a Milano, in una via poco distante dai Navigli ma decentrata rispetto al caos che li affolla di sera (occhio al parcheggio che non si trova, comunque, se non con una discreta botta di culo).


Germi viene dal titolo del primo album in italiano degli After ed ha pure un sotto-nome, "luogo di contaminazione" (del resto, anni fa uscì un dvd degli Afterhours che si intitolava "Non usate precauzioni, fatevi infettare").
Potevo io andare a Milano e non andare a verificare DI PERSONA se i guadagni post X-Factor sono stati reinvestiti bene? Ovviamente no, quindi sabato scorso con l'amica e cognata Laura ci siam buttate per un dopocena alla volta di via Cicco Simonetta, la strada dove si trova il locale. Entriamo e due sorprese: dentro ci sono solo quattro persone (cinque se si conta il barman) ed una di queste è MANUEL AGNELLI.
Faccio la tessera per entrare, che costa cinque euro e per la quale ti chiedono di pre-iscriverti online almeno 24 ore prima di andare nel locale, e mi accorgo che sul banco all'ingresso ci sono le cassettine di Tinals, lavoro di creativi che hanno avuto l'idea di sfruttare gli involucri di plastica dove un tempo si custodivano le musicassette e i loro libretti per farli diventare dei contenitori di mini fumetti. In pratica, tu apri l'involucro e dentro ci trovi, al posto del libretto, una storia disegnata che illustra, in maniera più o meno onirica, una canzone. Ogni involucro appartiene a una canzone diversa e contiene un lavoro di un fumettista diverso. Potevo dire ad Agnelli: "Sai che io ho una Tinals unica, perché anni fa ho partecipato ad una serata in cui Alessandro Baronciani (che è stato pure un ospite di Germi il mese scorso), a costo di farsi venire la tendinite, ad alcuni fortunati prenotati ha disegnato dal vivo una musicassetta su una canzone a richiesta e la mia era "Pelle" degli Afterhours?"



Potevo dirlo e non ho detto niente, anzi, mentre Laura continuava a dire sottovoce: "Dai ma avviciniamoci, diciamo qualcosa", io ho attuato la strategia che ha fatto innamorare milioni di donne: l'ho ignorato. Ho mostrato totale distacco, mi guardavo intorno con la faccia di chi diceva: "Mmh bello 'sto posto, peccato che c'è poca gente", calma e FINTAMENTE indifferente.
Dicevo che questa strategia ha fatto innamorare milioni di donne etero, ché Marco Ferradini "Teroema" mica l'ha scritta per caso... peccato che con gli uomini non funzioni. Passi per stronza e basta, e infatti io sono single da undici anni.
Col barista, che è molto carino ma NON E' Manuel Agnelli, mi sento più rilassata e riesco a ordinare due cocktail dicendo: "Fai tu, scegli una cosa che ti riesce bene". Ci porta due coppe di gin, liquore alla rosa e boh, il resto degli ingredienti l'ho rimosso, con dentro una rosellina, molto graziose da vedersi e anche molto buone (care ma vabbè, pure a Roma non è che la qualità te la regalino).
Continuo a parlare dei libri che ci stanno intorno, di come sia bella l'illuminazione tenue ma calda, mentre Laura mi guarda con uno sguardo del tipo "Guarda che non ti ricapita un'altra volta".
Sarà il cocktail che entra in circolo a sciogliere un minimo gli imbarazzi, ci alziamo e ci avviciniamo al grande juke-box che troneggia nella piccola prima stanza di cui Germi è composto (c'è la parte ingresso, con delle poltrone, un paio di tavolini e il bancone del bar, e la parte dove si suona o si presentano i vari ospiti, con una splendida libreria alle spalle, anzi, a dire il vero, i libri sono meravigliosamente OVUNQUE). Chiedo al barista se funziona davvero e lui mi dice: "Certo, anzi, vi faccio scegliere una canzone". Dalla sua tasca spunta un gettone conservato da chissà chi (i juke-box andavano a gettoni, come le cabine del telefono... lo specifico perché metti che io abbia dei lettori giuovani) e io immediatamente vado con la macchina del tempo della mia mente a un Festivalbar dopo l'altro, quello che con la finale all'Arena di Verona decretava la canzone vincitrice dell'estate in base al numero di ascolti ai juke-box, che erano disseminati in ogni lido e bar che si rispettasse. Ripenso a Josè, il mio primo amore "da grandi", estate 1987, io 13 anni e lui 18. Una canzone che mettevamo sempre al juke-box quell'anno era "Gente di mare" di Tozzi e Raf. Sul juke-box di Manuel Agnelli "Gente di mare" non c'è e del resto, mi sarei pure vergognata come una ladra a metterla (Laura mi dice che la canzone la posso scegliere da sola).
Penso che "The killing moon" di Echo & The Bunnymen sarebbe una scelta di gran classe, Manuel l'ha pure coverizzata e invece no, che cavolo, non facciamo le lecchine e dimostriamo un po' di personalità, mi dico tirando fuori il mio lato Marinellac'è.
Sono giorni che parlo di Rocketman, il biopic su Elton John, e di quanto vorrei vederlo. E' fatta, la mia scelta è conclusa.


Il barman carino infila il gettone, io digito il codice e partono le note. Alle mie spalle c'è qualcuno che canticchia, forse è Manuel, non lo so, Manuel che canticchia la canzone che ho scelto io, non capisco più niente, so solo che sono felice, tanto.
Alla fine, prima di andare via, ad Agnelli ci avviciniamo davvero. Gli diciamo che il locale è molto bello e che ci piacerebbe che ospitassero Cristina Donà e Ginevra Di Marco, che hanno realizzato da poco un bellissimo disco con un crowdfunding a cui ho partecipato.
Manuelone ringrazia, dice che il merito, se il locale è bello, non è solo suo, che Cristina Donà la conosce bene (lo sappiamo, Manuel, LO SAPPIAMO) e che la potrebbe ospitare ma non a breve, perché la programmazione estiva di Germi è già tutta definita.

I Germi della programmazione di giugno.


Io gli chiedo se i concerti nel locale iniziano davvero alle 21 come è scritto e lui mi dice che sì, più o meno, perché puntano a non chiudere le serate più tardi di mezzanotte (praticamente il mio sogno da lavoratrice che la sera vorrebbe uscire invece di collassare in vista della sveglia all'alba del giorno dopo). Gli dico che Hugo Race, che suonerà tre giorni dopo a Germi, io l'ho visto in concerto a Roma pochi giorni prima e che è stato davvero molto bravo. Ometto di dirgli che ho iniziato ad ascoltarlo non perché musicista per Nick Cave (ANCHE per quello) ma perché me lo ha fatto conoscere, indirettamente, proprio lui, quando sono saliti insieme sul palco di "Songs with other strangers" nel 2010 al Palladium. Chissà, magari gli avrebbe fatto piacere saperlo ma ormai non gliel'ho detto, pazienza, magari un giorno passerà da questo blog e lo scoprirà.
Io e Laura ce ne andiamo, lei c'ha l'adrenalina a mille e io pure, cammino come su una nuvola nella calda notte milanese, e penso che Germi mi piace tanto perché mi ricorda un posto: mi ricorda CASA MIA.
Su un divanetto c'era persino un vecchio numero di XL, il mensile di Repubblica che ormai esiste solo come pagina fb, con in copertina Lou Reed. Lo avevo salvato proprio pochi giorni prima e messo in bella vista sulla mia libreria, che è il punto nevralgico della mia casa (anche perché, oltre, a quella, può contenere molto poco altro). Vi lascio con qualche foto della mia casa. Ecco, Germi non l'ho fotografato ma è proprio così. Se vivete a Milano o vi trovate di passaggio, una visita gliela dovete. Io scrivo e nella playlist che ho in sottofondo arriva "To wish impossible things" dei Cure... ma l'impossibile, alla fine, non è solo quello che non proviamo a fare, citando lo slogan del Meeting del Mare 2009 dove suonarono proprio gli Afterours? Chissà... se il contagio si espanderà fino a Roma, io sono pronta.






lunedì 29 aprile 2019

"E non è certo il tempo quello che ti invecchia e che ti fa morire": quello che mi è piaciuto di Manuel Agnelli all'Auditorium (18/04/2019)

Stasera ho sfidato l'alternanza sereno-pioggia e il freddo pazzesco di "questo aprile che sembra dicembre", per dirla con Vasco Brondi, per andare ad assistere alle prove di Manuel Agnelli in piazza San Giovanni, ospite del concertone del primo maggio, da cui manca dal 2012, anno in cui non fecero suonare gli Afterhours perché avevano sforato con i tempi della diretta (e lui, giustamente, si incazzò come una bestia).
Mi piacerebbe dirvi che ormai la mia sintonia con Agnelli ha raggiunto dei tali livelli di perfezione che gli faccio tana in tutti gli angoli del globo ma non è così: mi era arrivata una soffiata last minute che mi svelava quando sarebbe salito sul palco, perché ormai gli amici sanno che sono una drogata di Afterhours e, di conseguenza, sanno come farmi felice, tipo la cognata che mi ha portato da Milano un libro fresco fresco dalla libreria "Germi".



Lo guardavo da lontano, l'Agnellone, col cappotto blu e la chitarra, intonare i pezzi che canterà il primo maggio accompagnato da Rodrigo D'Erasmo al violino, e ripensavo a quando ho monitorato quasi tutti i giorni il sito di Ticketone perché avevo deciso che anche sola, anche in un giorno infrasettimanale, anche senza avere idea di come cazzo tornare dall'Auditorium coi mezzi se si fosse sforato l'orario di chiusura metro (cosa regolarmente avvenuta), anche se avevo detto: "eh ma costa troppo e poi 'sta cosa senza band non mi convince" io sarei andata a sentirmelo per la milionesima volta. E' Amore, ragazzi, è Amore vero, perché l'ho già detto e lo ripeto, l'Amore è quella sensazione di non stancarsi mai dell'altro o di sentire la stanchezza passare appena ci si guarda negli occhi... o passano le note di QUEL pezzo.
Ho letto tanti report dello spettacolo portato in giro dall'Agnellone versione solista e quasi tutti sottolineavano con enfasi di quanto fosse a suo agio e simpatico sul palco.
Io sarò la voce fuori dal coro e vi dirò che no, per quel che mi riguarda il valore REALE delle esibizioni che sta per chiudere dopo aver portato lo spettacolo per tutta Italia isole comprese non sta nella centesima volta in cui racconta la storiella della fan veneta un po'  stalker e un po' criticona o nel momento in cui attacca il finto pippotto su quanto siano noiosi gli artisti autoreferenziali, per poi togliersi la giacca e mostrare che indossa la t-shirt col suo ritratto.
A me è piaciuta la lunga intro di musica classica, che molto probabilmente veniva da un vero vinile perché tra le note mi sembrava di sentire dei fruscii che mi facevano pensare di essere davvero in qualche salotto pieno di storia e di ricordi.
Mi sono piaciute le bellissime luci, che a un certo punto erano viola, con lui pallido al centro del palco, con indosso una giacca di velluto, e mi è venuto da ridere perché ho ripensato alla mia collega Susy che mi dice sempre: "Oh ma il tipo tuo dev'esse un vampiro: a te te piacciono tutti quelli che parono usciti dalla cripta!".
Mi sono piaciute le cover che ha fatto, da "Perfect Day" di Lou Reed a "Video Games" di Lana del Rey passando per "You know you're right" dei Nirvana, perché si sentiva che lui quei pezzi li ama davvero e li ha suonati mettendoci cuore e anima.
Mi è piaciuto che riproponesse brani che non suona mai - o pochissimo - con gli Afterhours, come "Dove si va da qui", che contiene un verso-manifesto come "Sapere sempre dove sei ti può smarrire".


Mi è piaciuto che parlasse di "Pelle", che al di là delle battute con cui ha condito il racconto della sua genesi, narra del dolore che ti lasciano le storie che non ne vogliono sapere di finire anche quando sai che "forse è stato meglio così", come canta in "Non voglio ritrovare il tuo nome" (pezzo che, però, è mancato in scaletta).

Il pezzo del concerto che più di tutti mi ha emozionato, però, è stato quello in cui ha parlato di come è nato "Folfiri o Folfox", del potere catartico che ha avuto nell'esorcizzare la perdita del padre morto di cancro. Ha detto: "Ho provato a tirare fuori con la musica quello che stavo provando io e, a volte, anche quello che pensavo stesse provando lui". E' partito il violino di "Ti cambia il sapore" e io ho pianto, sola al buio in mezzo a tutti quegli sconosciuti, perché quella mattina, per una di quelle coincidenze a cui è difficile credere se non quando capitano a te, avevo scoperto che quattro anni fa è morto il mio ex suocero, all'età che ha oggi mio padre, andando a far riconoscere alla asl la sua esenzione 048, quella che si assegna ai malati di cancro, lo stesso mese in cui è morto suo figlio, che è stato il mio fidanzato per sette anni. Avevano la stessa esenzione, Luca e suo padre Giorgio.



Ho ripensato a quell'uomo schivo, silenzioso, curvo sulla sua scrivania tra le sue carte e il fumo della sigaretta perennemente accesa. Ho fantasticato su chissà quante volte si era pentito di aver parlato poco con quel figlio che era venuto su silenzioso come lui e di come quel dolore troppo grande lo aveva consumato dentro, lui così poco abituato a tirare fuori le emozioni.
Ecco perché io amo Manuel Agnelli e le canzoni degli Afterhours, ecco perché le ho sentite, le sento e le sentirò cento milioni di volte: mi tirano fuori quello che da sola non so dire o che non so dire così bene.
Bologna, aspettami per il 18 luglio: da sola o in compagnia, all'ennesimo rito catartico di un concerto degli Afterhours io non rinuncio nemmeno questa volta.

lunedì 18 marzo 2019

Pensati libera: Florence + The Machine @Unipol Arena (Casalecchio di Reno, Bo, 17/03/2019)

A Bologna, la famosa frase "Muri puliti, popoli muti" non calza proprio. Ogni muro, ogni colonna dei portici è vergata da una scritta che può andare dalla bestemmia alla poesia. Evidentemente, i bolognesi - o coloro che transitano per questa città - muti non ci sanno proprio stare.
A via del Pratello - la via dove sorgeva la storica "Radio Alice" raccontata nel film di Guido Chiesa "Lavorare con lentezza", quello in cui Manuelone Agnelli partecipava cantando "Gioia e Rivoluzione" degli Area, per capirci - c'è una scritta che mi ha colpita, tanto che l'ho voluta fotografare. Questa scritta che qualcuno ha lasciato dice: "Pensati libera sempre". Proprio così, al femminile.


Visto che uno dei problemi della mia vita è che spesso mi ritrovo a constatare il caos e la casualità totale nelle cose che succedono a me e intorno a me, amo trovare nessi e correlazioni che diano un senso.
Ecco, io il senso di quella scritta che mi aveva fatto rallentare l'ho ricollegato al motivo che mi ha portato a Bologna: il concerto di Florence + The Machine.
Ero curiosissima di vedere sul palco questa rossa cantante londinese, che mi ha rubato il cuore come non mi succedeva dai tempi di Tori Amos.
E' bella Florence, di quella bellezza, che, però, cogli solo se metti insieme tutte le parti del suo viso, del suo aspetto, della sua musica e del suo messaggio.
Dopo l'avventuroso viaggio in una delle navette strapiene dirette dalla stazione di Bologna alla volta del palazzetto, arriviamo che già ha iniziato l'apertura il trio degli Young Fathers. Non sono stati male, mi hanno ricordato tanto gli Asian Dub Foundation, che spopolavano negli anni '90 pure nelle serate alternative a me tanto care, o pezzi come la stra-famosa "Freestyler", sempre decennio '90 (della serie "nulla si crea e nulla si distrugge ma tutto si trasforma" applicato alla musica).
Dieci minuti dopo le 21 è arrivata lei, Florence, con i suoi musicisti.
Premesso che, ormai, mi sa che mi dovrò rassegnare all'idea che, se non compri 'sto maledetto biglietto area pit, l'artista lo vedi letteralmente col binocolo da qualunque posizione, per fortuna ai lati del palco c'erano due bei maxi-schermi che aiutavano a godersi il concerto anche nella parte visiva, che in un'artista come Florence Welch è importantissima, visto che non solo ha una voce IDENTICA per forza, grazia e bellezza, a quella che si ascolta su disco ma crea uno spettacolo da gustare anche con gli occhi. Niente effetti speciali: l'effetto speciale E' LEI STESSA, le sue movenze, le sue belle mani, i suoi capelli che somigliano a quelli delle fate dei libri che sfogliavamo da piccole, i suoi vestiti lunghi e leggeri, che ci dicono che in qualcuno sensualità e finezza si possono dare credibilmente la mano.
Corre sul palco, Florence: balla, si avvita, batte forte i piedi nudi e poi... poi arriva quel momento in cui scende tra il pubblico, come chi la segue le ha visto fare mille e mille volte nei filmati che girano su youtube.
Ieri, ad un certo punto, era china su un gruppo di ragazzi della transenna ed una ragazza le ha fatto una carezza sui capelli così bella, così dolce che davvero, ho pensato, nella vita si vive per momenti come questo, per avere una carezza così, che dica: "Tranquilla, andrà tutto bene, con noi sei al sicuro".
La canzone su cui succede tutto questo si chiama Delilah. Uno dei suoi versi dice "Too fast for freedom, sometimes it all falls down, these chains never leave me, I keep dragging them around"", "Troppo veloce per la libertà, certe volte cade tutto, queste catene non mi lasciano mai e continuo a trascinarle in giro".
Troppo veloce per la libertà... ma ecco che mi viene in mente quel "pensati libera sempre" sul muro al Pratello e la canzone prosegue con "'cause I'm gonna be free and I'm gonna be fine", "perché sarò libera e starò bene". "Maybe not tonight", perché Florence è realista e lo sa che le catene non le spezzi solo con la buona volontà ma, se il miracolo della trasformazione è cominciato, nulla lo potrà fermare.
Continua solo a pensarti libera, SEMPRE.
Grazie, Florence, per averlo ricordato e, chissà, forse arrivederci a Milano a fine agosto.
Se ve la siete persi a 'sto giro, per la prossima data italiana (che, tra l'altro, cade pure di venerdì) non avete più scuse.



sabato 9 febbraio 2019

Finalona sanremese 2019 (focaccia ligure inclusa)

Se, quando avevo venti-venticinque anni ed ero tutta pane & Nirvana, mi avessero detto che mi sarei ritrovata vent'anni dopo ad organizzare un sabato sera a casa mia per guardare Sanremo con alcuni dei miei amici, avrei vomitato.
Per fortuna, invecchiando - e questo è uno dei pochi effetti buoni del tempo che passa -  alcuni di noi, tipo me, si ritrovano ad essere meno oltranzisti e allora vai di Sanremo e di focaccia, ché mangiare insieme rende sempre tutto più bello.
Quest'anno la vera differenza, per me, l'ha fatta il fatto che, come solo raramente è capitato (tipo nel 2014, in cui suonarono The Niro e Riccardo Sinigallia) ci sono artisti che apprezzo e ascolto, tipo Francesco Motta.
Ieri s'è preso una carrettata di fischi dopo aver vinto il premio per il miglior duetto con Nada, che non so perché s'era messa una ENORME croce al collo che neanche una neocatecumenale. A me la canzone non piace tantissimo - cosa strana, di Motta finora mi è piaciuto praticamente TUTTO - e 'sta cosa che è una "geniale" presa per i fondelli della canzone che qualche anno fa portarono sul palco di Sanremo Pupo e altri due scappati de casa boh, non so se l'ha detta lui. Secondo me se la sono inventata i giornalisti che ancora avevano a mente questa dimenticabilissima trashata.



Mi piace tanto il pezzo degli Zen Circus, con tutto che non sono una loro fan (prova ne sia il fatto che non li ho mai visti dal vivo), anche (o forse proprio perché) mi ricorda i recitati di Vasco Brondi e, come ha detto la mia amica Manuela, va venire il magone. Io AMO farmi venire il magone, soprattutto per farmelo passare.


Discorso a parte per Daniele Silvestri e Rancore: pezzo fantastico, disposizione sul palco idem, con la batteria di Rondanini al centro. Rancore mi piace tantissimo, scrive in maniera tosta e intima. Cominciai a sentirlo da quando uno di cui ero innamorata postò la sua S.U.N.S.H.I.N.E., il pezzo con Dj Myke, in bacheca su fb e io, per capire cosa gli passasse per la testa visto che era uno di quei soliti coglionazzi finto misteriosi che piacciono a me, mi misi ad ascoltarlo, scoprendo che era veramente bravo (Rancore, non il coglionazzo).
La versione con Agnelli, anche ieri nella serata dei duetti, mi fa piangere ogni volta che la sento, è potentissima proprio come quel video in bianco e nero che mi ha ricordato tanto "L'odio" con Kassovitz, con quel bus che passa come la vita e spingi corri ti affanni per salire... per andare dove? Mi sono sincerata del fatto che il pezzo piace anche all'unico sedicenne che conosco, un meraviglioso bambino a cui facevo da baby-sitter che è diventato un ragazzo altrettanto meraviglioso.


La vincitrice di quest'anno, comunque, per me ha i capelli blu e tiene gli ultimi brandelli della sua voce graffiante coi denti: è LOREDANONA Bertè.
Il pezzo è bello, il testo mi piace e, santo cielo, "cosa vuoi da me?" io lo urlerei A UN SACCO di gente.
Chi dice che la Bertè non è rock - o non è "vero" rock  - secondo me non ha chiaro che il rock è, in primis, un'attitudine e lei, che ha attraversato mille inferni, di attitudine ne ha da vendere, leggere la sua biografia "Traslocando" per credere, magari ascoltando "Non sono una signora" o "Sei bellissima" a tutto volume.


Questo post è dedicato ad una persona, che non so se legge il mio blog. L'anno scorso l'ho conosciuta proprio in occasione della finale di Sanremo. Attraverso una cara amica comune, mi ha invitato a casa sua per una serata musicale in compagnia e la ricordo simpatica e accogliente, poi ci siamo riviste - sempre grazie all'amica comune - in altre due-tre occasioni. Oggi l'amica comune mi ha detto che per questa ragazza si prepara un momento difficile. Non mollare, cara, e altro che finale di Sanremo: guarisci in fretta e andiamo a ballare tutta la notte solo dark e new-wave, perché noi siamo donne versatili. E forti. Come Loredanona.