lunedì 25 giugno 2018

I-Days, quarto (e ultimo) giorno.

E' finito l'I-Days. E' finita 'sta pazzia di incamminarsi ogni pomeriggio per due-tre concerti diversi, osservare, gustare, sentire e poi tornare alla casa che mi ospita a mezzanotte - l'una e scrivere.
E' finita ma è stato BELLISSIMO.
Tra mille gadget che in questo festival regalavano (caramelle gommose, patatine, mini-lattine di Coca Cola, sali minerali al gusto mojito, insomma tutte monnezze sfiziose), uno su tutti mi ha colpito: i campioncini di gel da massaggio della Control. Se sapete cosa produce la Control, immaginerete che non si tratta di gel contro la cellulite. Mi hanno fatto pensare - oltre che alla crisi della coppia (io ho ancora da qualche parte i preservativi che mi hanno regalato al Rock in Roma dell'anno scorso, probabilmente ormai son buoni giusto per farci i gavettoni) - ad una cosa carina: fare l'amore con le proprie passioni. E' bello, far l'amore con chi si ama ma anche con ciò che si ama, ed io me ne torno a Roma soddisfatta e piena di ricordi da album dei pensieri felici.
Che bello, oggi, vedere i giovani Wolf Alice suonare rock in maniera appassionata ed energica come ormai sembra così difficile che succeda tra i ventenni!
Che belli i vecchi Offspring (sapessero che li chiamo "vecchi", come minimo m'alzerebbero il dito medio in faccia), che - anche se si sono trasformati in dei discreti cicciobombi - hanno fatto un concerto fantastico, sicuramente il più divertente tra quelli di questo festival, alternando i pezzi più easy come "Why don't you get a job" a quelli tirati che negli anni '90 mi fecero innamorare di loro - e da quanto cantava forte il pubblico, penso di essere stata in buona compagnia.


Grande chiusura del festival con Queens of the Stone Age, per me una conferma visto che avevo avuto già modo di sentirli dal vivo quattro anni fa al Rock in Roma. Sempre per usare la delicata metafora del dito medio, il loro lo hanno sicuramente alzato in faccia a chi diceva che con l'ultimo album "Villains" si erano svenduti e commercializzati, visto che si erano fatti produrre da un dj come Mark Ronson, che ha lavorato con gente come Lady Gaga e Christina Aguilera.
A me quel disco piace e sfido chiunque abbia assistito al loro live di stasera a dire che hanno ammorbidito i suoni.
Esperienza felice e non è finita. Visto che mi aspetta un agosto lavorativo e cittadino, per luglio mi sono fatta un altro regalo musicale di quelli belli sostanziosi che piacciono a me.
Racconterò tutto tra un po', nel frattempo grazie a chi ha letto sul blog questi quattro giorni di cronaca, a chi ha condiviso, a chi ai miei vocali mandati in diretta dai concerti ha risposto con dei messaggi dolcissimi. Grazie a tutti voi ma, soprattutto, grazie alla musica, che mi ha fatto capire che E' QUESTA, CASA MIA.


domenica 24 giugno 2018

I-days, terzo giorno.

Un po' di considerazioni al volo su questo terzo giorno di I-Days, perché se è vero che questa è la sera in cui sono arrivata prima a casa, è anche vero che c'ho addosso una stanchezza che lèvate, anche se è una stanchezza di quelle belle, di quando stai vivendo qualcosa che ti appassiona e senti che le preoccupazioni per un po' sono distanti, che sei riuscita a svuotare la mente che troppe volte assomiglia ad un cassonetto, piena come è di pensieri inutili e spesso dannosi.
A Milano da ieri le temperature si sono abbassate e tutto è diventato più godibile.
A dispetto delle mille critiche che leggo su fb sull'organizzazione e la location di questo festival, io continuo a trovarle straordinarie ma forse è solo come dice la mia amica Raffaella: è perché vengo da Roma, che in questo momento storico è un po' come dire "vengo dal Burundi".
Tutto è perfettibile, per carità, ma vedere gente che pure ad un festival rock è in grado di fare la raccolta differenziata o pensare che esistono luoghi per eventi lontani dal centro città ma facilmente raggiungibili coi mezzi - problema che chi mi conosce sa benissimo che per me è CRUCIALE - è quasi commovente (ancora mi ricordo della volta in cui sono andata a sentire gli Smashing Pumpkins, cinque anni fa al Rock in Roma di Capannelle, e ci ho messo la bellezza di TRE ORE per tornare a casa coi notturni).
Oggi sono arrivata in tempo per sentire i Ride, di cui avevo ascoltato qualcosa su youtube e che sembrano essere molto più energici dal vivo che su disco, e assistere con comodità al live dei Placebo.
I Placebo sono stati per me, sul finire degli anni '90, un gruppo di CULTO. Ho adorato i loro primi due album, specie "Without you I'm nothing", e li ho visti in concerto tre volte, questa era la quarta.
Fatto salvo il primissimo live, che avevo visto un milione di anni fa al Palladium proprio mentre usciva il loro secondo album, negli altri due non mi avevano convinto granché. Mi sembravano sempre svolgere il compitino, senza concedere nulla all'emozione, e trovavo insopportabile che Brian Molko ogni santa volta dovesse fare la checca pazza questionando dal palco con qualche ascoltatore a cui vedeva fare cose che non gli andavano a genio (l'ultima volta, sempre a Rock in Roma, mi ricordo che se l'era presa con uno che riprendeva il concerto con l'i-pad).
Stavolta è stato diverso: Brain Molko non è più l'androgino ragazzino che trovavo così sexy ma un signore con un filo di pappagorgia che, però, oggi ha fatto davvero un gran concerto, anche se era strano ascoltare le loro canzoni intrise di immaginario dark col sole delle 19.45 e il cielo azzurro di una bella giornata sullo sfondo. Evidentemente, la durata breve del set (poco meno di un'ora e un quarto) giova alla resa. Anche se è mancata qualche chicca che avrei gradito, tipo "Bruise Pristine", e niente classiconi come "Without you I'm nothing", che nella versione che cantarono con David Bowie è bella da lacrime, o "Every you, every me", hanno aperto con Pure Morning e suonato un sacco di pezzi fantastici come "Twenty years", "Too many friends" o "Protege moi".


Anche se ho avuto la ventura di capitare in un punto in cui si vedevano bene sia il palco che i maxi-schermi ma sembrava di stare in mezzo a delle salme, mi hanno lasciato la sensazione che, secondo me, lasciano tutte le belle cose, persone e situazioni con cui si viene in contatto per una durata limitata: la voglia di rivedersi ancora.

Bello il set di Noel Gallagher, anche se molto diverso da quello del fratello Liam, che aveva suonato giovedì nella giornata di apertura. Meno legato al passato, evidentemente orgoglioso dei pezzi composti per il progetto con gli High Flying Birds, che sono la sua nuova band, ha fatto poche concessioni alla nostalgia ed è giusto che sia così, non si può vivere solo di ricordi.
Scene indimenticabili: Noel sul palco, in un arrangiamento anche un po' più sofisticato di quello originale, che canta "Wonderwall" e degli ominidi, sicuramente ultratrentenni oppure che portavano i loro anni malissimo, a petto nudo vicino a noi che continuavano a fare un tristissimo pogo di panze sballonzolanti (pogare su "Wonderwall"... ma come se fa!?!?) mentre si riprendevano girando un video col cellulare... e poi ci lamentiamo dei sedicenni - ___-
Quando Noel ha cantato "Don't look back in anger" ho pensato che, se davvero un giorno gli Oasis si dovessero riunire per risuonare tutto il loro vecchio repertorio, sbancherebbero in qualunque data: i loro pezzi sono amatissimi, includendo magari nella set list anche qualcosa dei Beatles, come ha fatto Noel che ha chiuso il concerto con "All you need is love" (del resto, il gruppo ha una bella sezione di fiati e se lo poteva permettere).
Dopo Noel Gallagher c'era il dj Paul Kalkbrenner a mettere i suoi pezzi ma abbiamo accannato.
Domani c'è la giornata che - ipotizzo - avrà il più alto tasso di testosterone del festival: Offspring e, soprattutto, Queens of the Stone Age. Vado a letto sennò il radar anti-ominidi domani non mi funziona a dovere.

sabato 23 giugno 2018

I-days, secondo giorno.

Eccoci, secondo giorno di I-Days andato. Ieri sì che sembrava davvero di stare ad un mega-festival internazionale: area più grande, palco IMMENSO, torri con un milione di altoparlanti per un suono bello denso e pieno.
Sono arrivata senza intoppi verso le 18.30, sul palco c'erano Catfish and the Bottlemen. Mai visti né conosciuti però in giro per l'area c'era qualcuno con la loro maglietta. Non mi sono sembrati male ma ero troppo impegnata a guardarmi intorno e godermi l'atmosfera per ascoltare con attenzione.
L'erba stavolta era vera, mi son trovata un posto all'ombra e mi sono seduta. Impossibile, per me, pensare di poter arrivare prima o stare al sole. Voglio arrivare a domenica (e oltre) e voglio arrivarci VIVA, quindi bisogna dosare le forze.
Alle 19.30, puntualissimi, sul palco gli Stereophonics, che però, per me, fan parte di quelle band di cui pensi: "Bravi ma continuerò ad ascoltare altro". "Have a nice day", sicuramente la loro canzone più famosa con "Maybe tomorrow", non l'hanno manco suonata... forse, dopo averla venduta per lo spot delle assicurazioni, la odiano.
Leggo su fb di gente che si sta lamentando per tutto: c'è troppo da camminare, i parcheggi costano un botto, la fila per mangiare è lunghissima, i Pearl Jam hanno suonato troppo poco. 
CAZZATE (oddio, sui Pearl Jam poi ci torniamo).
Lagnosi che non siete altro: scarpe comode e vai, la macchina la metti un po' più distante e, così, non ti imbottigli nemmeno nel traffico all'uscita (oppure la lasci a qualche fermata e prendi la metro che arriva fino lì e che ieri sera, grazie al cielo, partiva di continuo), il panino te lo porti da casa perché certo non ti puoi aspettare di fare a Rho Fiera la tua cena gourmet (e, magari, vuoi pure spendere poco). Non ve lo meritate, il rock... pensate al pòro Eddie Vedder!
Non ci siamo: per carità, se l'alternativa era annullare, non vedo scelta ma l'esibizione di ieri ha avuto qualcosa di abbastanza triste. Pur nell'entusiasmo generale, più volte mi sono ritrovata a pensare a Seattle, la città dove piove sempre e dove tutto è cominciato.
Premetto che era il mio primo concerto dei Pearl Jam: le aspettative erano alte, un po' per quel che avevo visto l'anno scorso all'Arena del Visarno col solo Eddie, un po' perché la leggenda narra che i live dei Pearl Jam siano indimenticabili per durata ed intensità, secondi forse solo a Bruce Springsteen. Ecco, diciamo che il concerto di ieri non credo entrerà nella leggenda. Due ore scarse sostenute fondamentalmente dalla bravura della band - il chitarrista Mike McCready in testa - e dal calore dei fan. Eddie Vedder ha fatto quello che ha potuto ma, considerato che the show must go on e ha già solo in Italia altre due date, più di così era impossibile. 
Però non basta, almeno per me. 
Su "Even flow" praticamente ha cantato solo il pubblico e ok che Eddie aveva detto: "Stasera fate parte della band" però dai, questo è un trucchetto alla Vasco Rossi!!!
Tenero quando leggeva in un italiano inframmezzato dall'inglese, quando ha parlato della sua "first prima volta" in concerto a Milano nel '92 e, come allora, ha deciso di aprire con "Release", quando ha fatto salire sul palco la moglie per brindare con lei - intrecciando le braccia mentre le mani reggevano i bicchieri di plastica modello vecchietti che festeggiano le nozze d'oro - al ricordo dei 18 anni fa in cui si incontrarono alla fine di un concerto proprio al Filaforum di Assago. Grande cuore ma ho visto anche tanta fragilità, altro che "Eddie Vedder ritrova la voce e trionfa a Milano", come ha titolato qualche blasonata pagina.
Una cosa bella e che si può toccare che mi porto dietro è il poster del concerto. I Pearl Jam - così come Vedder da solista- fanno realizzare un poster diverso per ogni data in cui suonano. Quello di Milano è spettacolare, con una qualità di carta e di stampa ottimi persino nell'odore, realizzato da un artista italiano che si chiama Francesco Francavilla


Oggi aspettiamo Placebo e Noel Gallagher... staremo a vedere.

venerdì 22 giugno 2018

I-Days, primo giorno.

Era una vita che sognavo di farlo: tornare da un concerto, anche tardissimo, e scrivere qualcosa subito, a caldo (a caldo è proprio il caso di dirlo, oggi a Milano ci saranno stati almeno 35 gradi).
Sono devastata, ho le gambe che sembrano due blocchi di cemento armato e - porcoggiuda - siamo solo al primo di quattro giorni. Domani sceglierò come regolarmi ma oggi... che bello, oggi!
Pubblico come prevedibile quasi tutto over 30. L'area è grandissima e prima di arrivare al palco si cammina per millemila chilometri... peccato che poi la zona concerti non sia poi così grande! Domani chi arriva tardi per i Pearl Jam rischia veramente di vederseli appeso all'Albero della Vita che campeggia fuori dall'area. Oggi faceva un caldo boia a pomeriggio e sedersi ad attendere sull'erba sintetica che hanno piazzato per simulare un verde inesistente non è stata una gran bella idea: il pantalone è diventato una specie di guainetta effetto sauna, speriamo serva almeno per la cellulite.
Una cosa buona sono i bagni: regà, non pensate che sono prosaica! Quando stai ORE fuori casa, avere un sufficiente numero di bagni a disposizione, tenuti anche in condizioni decenti, ti fa stare molto più sereno. Tra l'altro, siccome si tratta di stanze da bagno e non di bagni chimici, si risolve pure il problema del token, il gettone per comprare l'acqua, anche perché ti chiedono mezzo token (un euro e 50) per una bottiglietta da mezzo litro: tu, invece, metti la bottiglietta che ti sei portato da casa sotto il rubinetto et voilà.
Dopo questo lungo preambolo, passiamo alla musica.
Richard Ashcroft bravissimo voce, chitarra e giubbotto di paillettes su maglietta della Ferrari, per quel tocco di coatto che su un palco non guasta mai. S'è fatto pure ricrescere i capelli e, giuro, quando ha attaccato "Sonnet" veramente si è azionata la macchina del tempo e siamo tornati tutti nel '97.
Non vi dico quando è arrivato sul palco Liam Gallagher con gli occhiali da sole e il parka giallo indossato pure con quei 15.000 gradi (chiuso fino al collo, per di più, a fine set 'sto parka era pezzatissimo): anni '90 PURI. Vince lui la palma del più amato. A me, il suo concerto è sembrato più affollato e vissuto "de core" dal pubblico del nome di punta del giorno, The Killers. Bravi, Brandon Flowers tiene bene la scena col suo sorriso smagliante e hanno fatto ballare tutti (però il pubblico che ondeggia le braccia da un lato all'altro lasciatelo a Dave Gahan quando fa "Never let me down again", perché non c'è storia). Per questo tour non hanno lesinato sui led e sulle tamarrate festaiole che ai concerti fanno sempre piacere, tipo coriandoli e fuochi sul palco ma non li ho mai ascoltati granché e mi sa che continuerò così.
Con Liam è stata un'altra cosa. Quando ha attaccato "Live forever", che ha chiuso il suo set subito prima di "Wonderwall", davvero mi si sono sentita un po' commossa. "Forse voglio solo volare, voglio vivere, non voglio morire..."
Mi è tornato in mente Eugenio, un mio amico dei tempi delle medie e del liceo, una persona che non vedo da anni e che forse, anzi sicuramente, è stato il mio unico vero amico maschio nella vita. Lui adorava gli Oasis negli anni dell'università, era veramente un cultore ed ho avuto voglia di chiamarlo, in quel momento, mandargli un messaggio su whatzapp per dirgli che lo pensavo.
"As you were", è apparso scritto sullo schermo alle spalle di Liam quando ha finito di cantare. E' il titolo del suo disco. "Come eri"... però ancora, almeno per oggi, almeno nei ricordi, almeno nell'energia che ci rimane, come sei.

mercoledì 20 giugno 2018

La tua passione ti può portare OVUNQUE

Questo post è in cantiere DA GIORNI, più precisamente da venerdì 8 giugno, quando la mia curiosità mi ha portata ad assistere ad un live INCREDIBILE, quello di Fantastic Negrito al Monk.
Lui è un afroamericano di 50 anni che, però, sembra senza età, forse perché ha vissuto tante vite come un gatto. L'ultima è quella dopo l'incidente che lo ha lasciato in coma per tre settimane, segnandolo con delle vistose cicatrici sul braccio destro. Gli avevano detto che non avrebbe mai più potuto suonare la chitarra. Che ha fatto lui? Dopo aver ripetuto MERDA almeno 15.000 volte, si è inventato uno stile che gli consente di suonare la chitarra comunque. Da qualche giorno è uscito il suo disco nuovo, ""Please, don't be dead", "Per favore, non morire", e a noi che eravamo al suo live ha regalato uno spettacolo meraviglioso, energetico, VITALE.



Lui non è morto, proprio per niente: ha scelto di non arrendersi e continuare a vivere e fa impressione pensare che è tornato sui palchi aprendo i concerti per Chris Cornell, due anni fa, nell'ultimo tour prima del suicidio. Il suo ricordo di Chris, riportato in parte anche al Monk ("mi ha sentito su youtube e ha scelto di credere in me, permettendomi di suonare voce e chitarra prima di lui"), è stato molto toccante.
Con il suo suono che è un misto di blues, di soul, di funk e di un sacco di adrenalina ha fatto sentire molto vivi anche tutti noi che eravamo lì tra il pubblico a godercelo.



La trap e le sue terrificanti vocine modificate con l'autotune, i cantautori indie banalissimi che si sentono poeti delle piccole cose perché partoriscono gli immortali versi "vongole e bottarga, andiamo senza targa" o scrivono un testo facendo le addizioni con le bustine del paracetamolo (sarebbe bello fosse uno scherzo ma, purtroppo, non è così) erano lontanissimi: quella sera al Monk eravamo vecchi ed eravamo fighi e fieri di esserlo, tipo i Foo Fighters nel video di "Run".


A proposito di vecchi, sembra che la presenza di fan over 40 all'I-DAYS FESTIVAL che inizia domani nella ex area dedicata all'Expo a Milano sarà notevole: BENE, perché è proprio lì che sto andando!
Vi scrivo dal treno - una cosa che mi diverte sempre molto - e, mentre lo faccio, ancora non si sa se i Pearl Jam, che sono gli headliner di venerdì, riusciranno ad esibirsi, visto che Eddie Vedder ha dovuto annullare l'ultima data prima di quella milanese perché era senza voce. Io, però, sono ottimista, nonché felicissima di vivere, a 44 anni, per la prima volta nella mia vita, un festival PER INTERO!
 Quattro giorni di musica e devasto fisico: uno sano di mente si prenderebbe le ferie per riprendersi da quelle che, invece, per me SONO le ferie.

Ho pensato, sulla scia di un articolo molto divertente che avevo letto su Rockit, che poteva essere utile stilare un mini-vademecum di consigli pratici atti a favorire una felice esperienza per chi, come me, si appresta a vivere una o più giornate intere dedicate alla musica. Se la cosa vi alletta, non abbiate paura (sembro il papa): andandomene da sola, l'anno scorso, al Firenze Rocks proprio per sentire Eddie Vedder, io ho collezionato una delle più belle giornate della mia vita.

Ecco la mia lista:

  • che vi muoviate coi mezzi pubblici o con l'auto, avviatevi per tempo. Ormai, con le norme antiterrorismo agli ingressi, può capitare il controllore all'acqua di rose ma anche quello che vi farà tirare fuori dallo zaino persino i vecchi scontrini dimenticati sul fondo.
  • a proposito di zaino: zaino si fa per dire. Gli zaini DANNO FASTIDIO, specie se durante i concerti ve li mettete dietro le spalle e vi muovete come dannati. Compratevi o ripescate dall'armadio una borsa a tracolla o un pantalone di quelli con cinquantamila tasche e avrete il vantaggio di avere le mani libere senza urtare il prossimo.
  • magliette, possibilmente di cotone (ho visto gente in giro sotto il sole CON LA MICROFIBRA... follia pura), perché le canotte lasciano troppa pelle al sole (il  melanoma non  è uno scherzo, purtroppo) e la cinghia della borsa, alla lunga, ti taglia tutte le volte che va su una parte scoperta, specie scottata. Se hai la pelle chiara, crema solare e cappello ti fanno stare più tranquillo.
  • non lesinare su sapone e deodorante prima di uscire di casa. L'ascella pezzata è normale, l'ascella pezzata fetente no. Se ti chiedi perché l'ultima relazione che hai avuto risale a svariati anni fa, prova ad annusarti le ascelle e le altre parti a rischio per scoprire una eventuale ragione.
  • no a sandali e infradito. Non aspettate che vi pestino un piede per scoprire il motivo del mio suggerimento.
  • i fazzolettini umidificati dovrebbero passare i controlli: anche se abitualmente non li usi, quando sarai impastato di sudore e polvere, ne riscoprirai l'incredibile utilità
  • mangiare e bere si può anche in loco ma le file sono spesso lunghissime e costa tutto un botto. Portati roba leggera ma che tappa lo stomaco, tipo barrette di cereali o crackers e ricordati che sei lì per la musica: perdersi l'inizio di un concerto perché sei in fila per la birra, anche no.
  • l'acqua merita un capitolo a parte. La mia esperienza al Firenze Rocks è stata abbastanza terrificante da questo punto di vista, dato che a 'na certa lì si son messi a vendere bottigline che erano state al sole ed avevano raggiunto temperature che le rendevano buone per farsi la doccia. Portarsi più di due bottigliette da mezzo litro dietro sarà difficile, perché pesano e perché fanno 'sta ladrata di farti buttare i tappi all'ingresso. Loro vogliono fregare te, tu frega loro: tappi di riserva in luoghi dove non batte mai il sole - tanto ti sei lavato, giusto? - e le bottiglie si ritappano appena entrati.
  • porta con te la curiosità, la voglia di scoprire e di condividere e, anche se sei solo, ricorda: CON LA MUSICA NON SEI SOLO, MAI.