venerdì 3 aprile 2020

La più strana delle primavere.

Sono a casa da venerdì 13 marzo, con oggi son tre settimane piene.
Vivo da sola e, da 21 giorni, il mio unico contatto umano non filtrato da uno schermo sono i santi cassieri dei supermercati e le vecchie che incontro in fila mentre cerchiamo di rispettare le distanze imposte e qualcuna blatera di quanto "la guerra era meglio" (sì, certo, come no).
In fila, una volta ogni cinque giorni cioè quando esco, con pochissime eccezioni ci siamo solo io e loro.
Dove sono finiti tutti gli altri?
A volte, passata mezzanotte, apro una delle finestre di casa mia e mi affaccio. C'è un silenzio irreale, se non ci fosse qualche luce nelle case di fronte sembrerebbe di essere rimasti gli unici abitanti della terra. E' spaventoso e, a volte, anche bellissimo. Se riesco a vedere la luna mi commuovo ma, capirai, in questi giorni ci si commuove con tutto, dall'inno nazionale cantato alle finestre alle foto che i miei genitori fanno alle nipotine mentre le guardano crescere da uno schermo senza sapere quando potranno rivederle.
Quando ho avuto piena coscienza del fatto che non saremmo usciti tanto presto da questo incubo chiamato Covid-19 mi son detta: "Se non scrivi sul blog neanche stavolta, non puoi accusare la stanchezza o la mancanza di tempo. Semplicemente - ammettilo - non ti va".
E invece no, mi va perché non sono né - purtroppo - una intellettuale alla NICK CAVE, che ha comunicato, articolando meravigliosamente il suo pensiero come al solito, che vuole sfruttare questo tempo per riflettere e compiere atti di gentilezza verso il suo prossimo né - grazie a dio - 'na rosicona come Mauro Ermanno Giovanardi dei La Crus, che sulla sua pagina facebook ha scritto che non capisce la mania dei colleghi di esporsi a qualsiasi costo con dirette streaming e iniziative varie da casa per accaparrarsi qualche like.
E' vero che molti semisconosciuti stanno organizzando dirette a rotta di collo, della serie "magari ce caschi e mi vieni a sentire dal vivo quando si esce" ma, per esempio, l'immenso VINICIO CAPOSSELA è uno che tutte le sere, in un orario a sorpresa, si collega su facebook per un mini-live di dieci minuti. Siamo in centinaia ogni sera a seguirlo e no, non mi sembra uno che ha bisogno della sua fettina di celebrità rosicchiata quanto piuttosto un buon comunicatore che vuole cucire tra loro col filo dei suoi pensieri le case di chi lo segue e lo apprezza.
Anch'io vorrei unire col filo dei pensieri chi mi legge ma, soprattutto, segnalare qualcosa che, in questi giorni, possa aiutare a tenere compagnia. oltre alle tante chiamate, in voce e video, di famiglia e amici.
Una cosa curiosa che ho notato - non so se è capitato anche a voi - è che, anche ora che siamo quasi tutti a casa, chi non si faceva mai vivo adducendo pretesti di impegno continua a non farlo... e non dite che siete tutti in smartworking a lavorare 16 ore al giorno perché non vi crede nessuno.
Ecco, allora, qualche dritta su cosa mi ha aiutato in questi giorni strani e, presumibilmente, continuerà a farlo. Non troverete suggerimenti su come si fa il lievito di birra in casa o come si intrattengono i bambini, visto che non ero e non sono una buona massaia né una buona tata ma, del resto, credo che questo periodo non contribuirà tanto a cambiarci quanto a farci prendere pienamente coscienza di chi siamo e fino a che punto abbiamo fatto i conti con la nostra vita.

  • un romanzo lungo
Se non vi piace leggere, potete saltare questo punto... ma come fa a non piacervi leggere???
Ho iniziato la quarantena con "E l'asina vide l'angelo", mattonazzo da 420 pagine che Nick Cave aveva dato alle stampe come suo primo romanzo alla fine degli anni '80 e che per lungo tempo, fino a questa ristampa recentissima, è stato introvabile. Non mi è piaciuto, è cupo, tenebroso, infestato di pensieri neri (Nick - non ne ha mai fatto mistero - era schiavo dell'eroina nel periodo in cui lavorava a questo libro) e, allo stesso tempo, estremamente barocco, con descrizioni ultra minuziose, privo di ironia e di qualsiasi forma di redenzione per i suoi terrificanti personaggi. Devo dire, però, che mi ha fatto tanta compagnia, il muto Euchrid protagonista. 



Ora, dopo una breve pausa, ho attaccato un altro mattone, anche se di minore consistenza (siamo a 318 pagine): è "Seme di strega" di Margaret Atwood, l'autrice de "Il racconto dell'ancella" e "I testamenti". Siamo lontani dal capolavoro, per ora sembra semplicemente un libro "riempitivo" ma, magari, deve ancora prendere quota e lo farà nelle prossime pagine. Diamogli fiducia.


  • degli appuntamenti di live streaming con contenuti interessanti
E' ovvio che il concetto di "contenuti interessanti" va dalla ricetta delle zucchine ripiene al tutorial "smokey eyes facile" ma le mie preferenze le conoscete!!!
I mini-live di Capossela li ho già citati prima. Un altro che mi è piaciuto seguire è Paolo Benvegnù, che ha avuto la sfiga di avere il disco in uscita proprio nei giorni in cui iniziava a girare il virus e che mi fa sorridere per come è palesemente a disagio col fatto di suonare da solo a casa sua, con davanti  una telecamera e dietro un termosifone.
Uno che mi ha fatto sorridere davvero di gioia è Francesco Di Bella, cantante dei 24 Grana, che nei giorni scorsi ha partecipato a parecchie dirette. Il suo approccio è stata la dimostrazione di come ogni medaglia ha due facce e, se una è scorticata, devi girarla tu nel verso migliore: invece di piangersi addosso per questo periodo disgraziato o, peggio, fingere un'allegria che è impossibile provare, si è mostrato palesemente contento di avere collegati in diretta un sacco di ascoltatori che, evidentemente, conosce. Salutando a destra e manca tra un pezzo e l'altro, sembrava di stare ad una riunione di amici, tanto che con le mie amiche che erano entrate nel live dalle loro case abbiamo iniziato a salutarci pure noi e a stappare le birre, certe che, prima o poi, quelle birre ce le torneremo a bere DAVVERO assieme.


  • Propaganda
L'appuntamento con Propaganda, il programma di La7 in onda in diretta ogni venerdì alle 21.15, era imperdibile per me già prima della pandemia. Giornalismo e intrattenimento coniugati in maniera intelligente e simpatica stanno riuscendo nell'eroica impresa di andare in onda da 3 settimane (questa sarà la quarta) con dei cartonati di personaggi famosi invece del pubblico e con ovvie restrizioni, creando lo stesso delle puntate ricche di contenuto. Ho smadonnato tutte le volte che dovevo lavorare di sabato - o avevo avuto dei turni troppo massacranti il venerdì - perché non riuscivo mai a rimanere sveglia fino alla fine, per la "Social Top Ten" e i disegni finali di Makkox.... ecco, la mancanza di lavoro (che per me non si sta rivelando una mancanza ma una TOTALE LIBERAZIONE e con questa cosa, prima o poi, dovrò farci seriamente i conti) mi ha risolto il problema e sono in grado serenamente di tirare fino all'una ogni sera.

  • un'attività fisica che ci piaccia veramente
La mancanza di movimento, unita a pasti spesso ricchi di elementi consolatori (il cioccolatino, le patatine, il paninetto farcito, 'na bella spaghettata condita), farà uscire il 90% di noi dalla quarantena rotolando. Io non sono mai stata una gran sportiva ma son passata dagli 8000-10000 passi di prima a una media di 20, infatti mi ha fatto ridere quella vignetta che girava e diceva: "Il tuo contapassi chiede se sei morto".
Ho provato inutilmente ad appassionarmi a tutorial di ginnastica online fino a quando ho scoperto che la mia attività fisica da domiciliari è il ballo.
Metto, che so, "Racing rats" e "Papillon" degli Editors in sequenza e ballo ballo da capogiro, certa che qualche caloria la brucerò o, per lo meno, per dieci minuti sarò con la testa fuori dai 40 metri quadri di casa mia. Certe volte mi tocca fermarmi perché devo alleggerire la tuta, altre perché mi devo asciugare una lacrima che mi rotola su una guancia ricordando i miei amatissimi concerti. 


Da due sabati, uno dei miei contatti facebook organizza un dj set da casa sua, dalle 22.30 a mezzanotte e mezza, e mette proprio la musica che piace a me quando vado nei locali: Rammstein, Nirvana, Cure ed è carino perché non conosco i suoi amici, in verità non conosco nemmeno lui, ma ci ritroviamo tutti virtualmente intorno alla sua consolle a ballare e commentare. Decisamente, ho passato dei sabato sera molto molto peggiori.
  • dei buoni film o contenuti video
Non sono un'appassionata di serie televisive e non ho Sky né Netflix o altre piattaforme video a pagamento. Per fortuna, esistono un sacco di contenuti accessibili gratis, per esempio quelli caricati su Raiplay, su  Mymovies nella sezione Io resto a casa(però ricordatevi di registrarvi prima), sul sito del cinema Post Modernissimo di Perugia o su Sky Arte, che - non so se rispettando il palinsesto o con dei contenuti ad hoc - ha tutto il giorno lo streaming gratuito per il periodo della quarantena.
Io ho visto un documentario su Palermo ed uno sulla fotografa Letizia Battaglia veramente notevoli.
Ovviamente, prima di beccare un film bello ne devi vedere una marea di ignobili (mi dicono sia così anche con gli uomini ma che ne so, non esco con qualcuno da due anni).
L'ultimo che ho visto è uno andato in onda su Rai 2 ieri sera in seconda serata, "The giver - Il mondo di Jonas", che potete tranquillamente rivedere su Raiplay se lo cercate in questi giorni nella sezione "Film drammatici". Al netto di qualche ingenuità, l'ho trovato un film molto carino e commovente... ma, che in questo periodo mi commuovo spessissimo, ve l'ho già detto.


In verità, l'ultimissimo l'ho visto stamattina. E' un documentario di un'oretta circa che trovate su youtube, diffuso ieri in occasione della giornata per la conoscenza dell'autismo. Si intitola "Se ti abbraccio non aver paura", proprio come l'omonimo libro che racconta la storia VERA di un padre che, assieme al figlio autistico,  intraprende un viaggio sulle orme di "Marrakech Express" di Gabriele Salvatores. E' girato bene e ha il valore aggiunto, per me non da poco, di una bella e indovinata colonna sonora.


Se avete qualcuno vicino e ci tenete, correte ad abbracciarlo. Se vivete soli, come me, sapete già che la persona per voi più importante è quella che vi guarda tutti i giorni dallo specchio. Trovate un modo per dirle che le volete bene.



mercoledì 12 febbraio 2020

Qualche buon motivo per ascoltare gli Editors (ed andare ad un concerto anche se siete da soli)

Mentre scrivo, qualcuno, a Milano, si sta preparando spiritualmente per partecipare stasera alla terza delle date italiane degli Editors.
A Milano - non c'è niente da fare - a livello di concerti hanno quasi sempre una marcia in più: oltre al fatto che la location milanese, l'Alcatraz, a dispetto del nome non ha nulla da spartire con quella romana, l'Atlantico, una costruzione sulla Colombo orribile e con un suono solo appena appena più decente di quello del Palazzo dello Sport (essendo parecchio più piccolo, ha il solo pregio di garantire una visibilità migliore, a meno che non si sprofondi totalmente nelle retrovie), per gli Editors i milanesi hanno potuto giocarsela su ben due date consecutive. Noi romani no, una data sola, sold out un mese prima che arrivasse.



Siccome io, nella vita, non ho azzeccato quasi nulla tranne l'organizzazione per andare ai concerti, ero munita di biglietto già da tre mesi. A chi mi diceva: "Ma tu sei così sicura che questi fanno sold out? Non mi pare che li conoscano in tanti..." rispondevo: "Assa fà, hanno in giro un "best of" davvero molto carino e ben fatto. Negli anni, sono stati ospiti al Concertone del Primo Maggio a piazza San Giovanni, hanno fatto un po' di passaggi televisivi in trasmissioni seguite come "Ossigeno" di Manuel Agnelli e, più recentemente, "Propaganda Live" su La7 (anche se lì, pur adorando la trasmissione, ricordo che furono liquidati in maniera tristemente rapida), hanno suonato prima dei Cure nell'ultima edizione di Firenze Rocks. Vedrai che andrà bene".
E infatti è andata benissimo.
Il palazzetto era strapieno, temperatura da fornace atomica, pubblico non troppo giovane - evidentemente i loro suoni catturano prevalentemente i nati tra i '70 e gli '80. Purtroppo, anche se eravamo in prevalenza "over", 'sto cazzo di viziaccio di impallare la visuale altrui coi propri maledetti smartphone per riprendere e fare foto purtroppo non si perde.
Il segreto per dimenticarsi 'sti  poràcci affamati di condivisioni che non si calcolerà nessuno?
Chiudere gli occhi e BALLARE.
Dio, quanto ho ballato lunedì... perché, se è vero che i suoni degli Editors sono cupi, quanto sono trascinanti pezzi come "Papillon", forse il loro brano più famoso, o "A ton of love" con quel grido, "Desire", che non sentivo così intenso dai tempi in cui lo scandiva Bono Vox nell'epoca d'oro degli U2?




Il cantante Tom Smith è bravo e pure figo, se ti piacciono, come piacciono a me, i magrolini col vocione, e la band gli va dietro alla grande. Tutti i presenti, all'uscita, in particolare elogiavano il batterista, che ha fatto un lavoro egregio. Vedevo che sulle casse avevano posizionato un pupazzetto, poco più grande della sorpresa di un uovo kinder: da dove ero io sembrava un mini-gladiatore ma chissà...
Lunedì sera stava piovigginando ed io ero sola, coi mezzi e senza ombrello - hai visto mai non me lo facessero passare ai controlli.
Mentre mi dirigevo in questo posto allo sprofondo, dove avrebbero tenuto il concerto, maledicendomi per come mi vado a buttare in queste situazioni del cavolo ("e sei sola, e non sai come tornare, e non hai i soldi per il taxi...") cercavo conforto intrattenendomi in chat con gli amici che sapevo che mi avrebbero incoraggiata, facendomi sentire un po' meno folle nella mia idea di sfidare distanze, solitudine, maltempo, TUTTO pur di arrivare al mio scopo: la musica dal vivo!
Scesa dal terzo mezzo, l'ultimo, con cui sarei arrivata all'Atlantico, piano piano ho sentito che mi cresceva dentro l'adrenalina, però non più quella dell'ansia, quella del "ma chi me l'ha fatto fare" ma quella di chi sta andando incontro ad una situazione che ama, contro ogni pallosissimo buon senso, che avrebbe imposto di stare a casa con plaid e tisana in una serata così.
Mi sentivo CORAGGIOSA, io che ho paura di guidare, di nuotare, cambiare lavoro, di non innamorarmi più. Sono entrata all'Atlantico e dieci minuti dopo, puntualissimi, gli Editors hanno cominciato con "An end has a start", una canzone che dice "Non penso che oggi pioverà ancora. C'è un diavolo al tuo fianco ma sta per arrivare un angelo. Qualcuno accenda la luce perché qui ci sono molte più cose da vedere. Quando hai catturato il mio sguardo, ho visto ogni luogo nel quale andrò e voglio andare. Sei arrivata da sola e così te ne andrai, con la speranza nelle tue mani e aria da respirare".
Due ore dopo di concerto , ero fuori e in meno di un'ora, sola, coi mezzi, di sera, ero a casa. Con la speranza nelle mani, aria da respirare e la possibilità di dire: "Anche stavolta è andata bene".


domenica 12 gennaio 2020

Eravamo tutte Jo March... e poi?

Come nell'anno di "Lalaland", in cui non mi ricordo che cosa è successo nella mia vita in quel periodo ma mi ricordo che, di sicuro, ho iniziato l'anno cinematografico vedendo "Lalaland", volevo che il mio primo film del 2020 in sala fosse bello, da ricordare, magari che mi facesse venir voglia di scrivere perché il pensiero magico impone che, se la prima cosa che fai in un campo che ti piace (e a me andare al cinema piace tantissimo) ti soddisfa, tutti i mesi a seguire ti daranno uguale, se non maggiore, soddisfazione. Sono stata accontentata: il mio primo film dell'anno 2020 è stato "Piccole Donne" di Greta Gerwig, un film SPLENDIDO. Sono arrivata al botteghino e in sala c'era rimasto UN SOLO posto libero. Mi son detta: "E' un segno, quel posto è mio". Dopo, all'uscita, mi è venuta voglia di chiamare non so quante amiche, vicine e lontane, per dire: "Andate a vederlo, è favoloso", ma mi sono ricordata che è domenica sera e, forse, le persone hanno altro da fare, allora ho mandato solo un messaggio ad una di loro... ma questo post potrete leggerlo comodamente quando volete!


Premetto che questo post conterrà SPOILER ma chi non conosce la vicenda delle quattro sorelle March, Meg la romantica, Jo la ribelle, Beth la dolce, Amy la smorfiosa?
Io ho passato i 40 anni da un pezzo, anzi quest'anno divento pure più vicina ai 50 che ai 40 (che paura) ma ricordo come se fosse ieri il momento in cui i miei genitori, nell'estate dei miei 10 anni, per farmi vincere la noia che funestava tutte le mie estati di quell'epoca, mi diedero il permesso di comprare un libro da un signore che vendeva volumi per bambini su una bancarella in una piazzetta a Termoli, vicino dove i miei andavano (e vanno ancora) in vacanza. Scelsi "Piccole Donne", non so se attirata dalla copertina, dal titolo, dal fatto che qualche amichetta a scuola potesse avermene parlato. Scelsi "Piccole Donne" e mi innamorai perdutamente. L'ho letto e riletto mille volte allora e fino all'adolescenza, ricordavo a memoria interi capitoli, uno che mi piaceva tantissimo era "Meg va alla fiera delle vanità", forse perché a me, di vanità, già da allora ne era concessa zero.
La mia eroina, però, come poi - confrontandomi con tante ex bambine lettrici - ho scoperto era praticamente per tutte, era Jo, la secondogenita. Jo che vuole fare la scrittrice, Jo vulcano in eruzione, Jo "causa persa" per l'acida zia March (che, però, le lascia in eredità la grande villa dove fonderà una scuola innovativa) dal carattere pieno di spigoli ma dal cuore d'oro, Jo che dicono non sia bella solo perché è troppo avanti per i suoi tempi e infatti, negli anni, il cinema le ha reso giustizia, lasciando che a interpretarla fossero attrici non solo brave ma anche belle, di bellezza poco convenzionale ma sicuramente super affascinanti, come la mia amata Winona Rider negli anni '90 e ora lei, Saoirse Ronan, un turbine di capelli arruffati e meravigliosi e due occhi e un piglio che la rendono indimenticabile rispetto alle altre protagoniste del film, tutte belle e bravissime nei loro ruoli, ma noi, noi ex bambine lettrici, noi amiamo solo Jo.


Il film è costruito con la tecnica del flashback, la narratrice è, ovviamente, Jo ed ha dalla sua fotografia, luci e costumi meravigliosi, oltre alle ottime interpreti, che ho trovato tutte molto credibili nell'impersonare quelle eroine che, in quell'estate dell'84, ancora non avevano un volto cinematografico per me ma che io immaginavo nei minimi dettagli, perché il racconto che ne ha fatto Louisa May Alcott nel 1868 era costruito così bene che le scene te le vedevi davanti agli occhi una ad una, mentre leggevi.
A proposito dei costumi, è rispettata la tradizione che Jo ha sempre qualcosa di rosso (in questo film anche bordeaux) con sé, perché i colori parlano, come mi piace pensare che capiscano quelli che vedono i miei vestiti quasi sempre neri o, comunque, scuri e la mia casa, invece, tutta colorata.


Jo ha sempre qualcosa di rosso tranne nei momenti del grande dolore, come quando muore Beth o quando è costretta a buttare la lettera che ha scritto a Laurie per dirgli che sì, ok, se lui le chiede un'altra volta di sposarla lei gli dice sì ma ormai è tardi, Laurie è tornato dall'Europa già sposato con Amy. Povera Jo, come faccio a non amarti, tu che sbagli sempre i tempi...
Amy, nel primo libro di "Piccole Donne", è la sorella meno simpatica, la piccolina viziatella ma "Piccole Donne" è, in realtà, una quadrilogia e dal film viene fuori una Amy che, col tempo, matura e tira fuori un acume ed un'intelligenza insperati, nonchè l'onestà di ammettere che vivere all'ombra di quella sorella maggiore così brillante e sicura di sé le è sempre pesato tanto.
Confesso che io, gli altri tre libri che completano la storia, non li ho mai voluti leggere perché (anche questo lo ricordo come se fosse ieri) la mia compagna di banco delle elementari, dopo che le parlai di questo libro meraviglioso che avevo letto durante l'estate, mi disse che la sorella maggiore, che andava già alle medie, aveva anche gli altri libri di "Piccole Donne" e che la storia non finiva come credevo io. Mi disse che Beth moriva e che Laurie non sposava la sua vecchia amica Jo, con cui stava benissimo e si divertiva da matti, ma Amy mentre Jo si sposava ormai già grande con un vecchio professore tedesco. No, cazzo, potevo passare sopra pure alla morte di Beth ma che era 'sta storia che Jo non si sposava con Laurie ma col vecchio? Vi giuro, una rivelazione che mi arrivò come una pugnalata del tipo "Babbo Natale non esiste" (cosa che, tra l'altro, io già sapevo benissimo perché, come scrissi anni fa in un vecchio post, i miei ci avevano detto da piccoli che i regali non li portava affatto Babbo Natale, che era finto, ma Gesù Bambino, che invece esisteva).
In questo film Jo si prende una doppia rivincita: la prima è che, per la prima volta da che io ricordi nei vari adattamenti cinematografici o a cartone animato, il professore tedesco non è un vecchio colto ma poco attraente ma quel gran figo francese di Louis Garrel.


L'altra rivincita è che il personaggio gioca, in un dialogo col suo editore dopo che finalmente sta per vedere pubblicato il suo primo romanzo, col fatto che sposarsi sia, più che altro, un artificio per dare il classico "happy ending" anche ad un'eroina che di classico non ha assolutamente nulla, specie se ci ricordiamo che questa storia è stata scritta nell'800. Eppure, in un momento in cui Jo parla con la madre ed io ho consumato almeno mezzo pacchetto di fazzoletti, la nostra beniamina lo dice chiaro chiaro: "Il fatto è che io sento che le donne hanno una mente e hanno anche un'anima, così come un cuore, e hanno delle ambizioni e hanno talento, non solo la bellezza. E sono così stanca delle persone che dicono che l'amore è l'unica cosa a cui posso aspirare, sono stufa di sentirlo... ma sono anche tanto sola..."
Quando ero alle medie, avevo - credo - circa 12-13 anni, la mamma di una mia compagna di scuola, una domenica in cui salìì a casa sua, disse a me e alla figlia: "Se posso dirvi una cosa che ho imparato negli anni è che prima dovete fare tutto quello che avete voglia di realizzare nella vita: studiare, viaggiare, divertirvi, imparare cose nuove, e solo dopo potrete pensare a sposarvi e fare le mamme". Mi sembrò un concetto molto interessante e rivoluzionario e lo riferii a casa mia. La risposta di mia madre fu: "Bisogna vedere chi ti vuole ancora, dopo che è passato tutto quel tempo". Mamma, forse avevi ragione, perché nel romanzo della mia vita io son rimasta a vivere da sola e non è la prima scelta che avrei voluto quando avevo vent'anni e mi immaginavo "da grande" ma, mi dispiace, più di te aveva ragione la mamma di Maria Domenica, la mia compagna di scuola delle medie, perché, come dice la signora March, la mamma delle quattro sorelle, nel film, "meglio essere una felice zitella che un'infelice moglie o una sciocca signorina che corre in giro a cercarsi un marito". Che, magari, un giorno capirà pure da che parte soffiare via la polvere dal cassetto dei suoi sogni più antichi e veri.