sabato 23 giugno 2018

I-days, secondo giorno.

Eccoci, secondo giorno di I-Days andato. Ieri sì che sembrava davvero di stare ad un mega-festival internazionale: area più grande, palco IMMENSO, torri con un milione di altoparlanti per un suono bello denso e pieno.
Sono arrivata senza intoppi verso le 18.30, sul palco c'erano Catfish and the Bottlemen. Mai visti né conosciuti però in giro per l'area c'era qualcuno con la loro maglietta. Non mi sono sembrati male ma ero troppo impegnata a guardarmi intorno e godermi l'atmosfera per ascoltare con attenzione.
L'erba stavolta era vera, mi son trovata un posto all'ombra e mi sono seduta. Impossibile, per me, pensare di poter arrivare prima o stare al sole. Voglio arrivare a domenica (e oltre) e voglio arrivarci VIVA, quindi bisogna dosare le forze.
Alle 19.30, puntualissimi, sul palco gli Stereophonics, che però, per me, fan parte di quelle band di cui pensi: "Bravi ma continuerò ad ascoltare altro". "Have a nice day", sicuramente la loro canzone più famosa con "Maybe tomorrow", non l'hanno manco suonata... forse, dopo averla venduta per lo spot delle assicurazioni, la odiano.
Leggo su fb di gente che si sta lamentando per tutto: c'è troppo da camminare, i parcheggi costano un botto, la fila per mangiare è lunghissima, i Pearl Jam hanno suonato troppo poco. 
CAZZATE (oddio, sui Pearl Jam poi ci torniamo).
Lagnosi che non siete altro: scarpe comode e vai, la macchina la metti un po' più distante e, così, non ti imbottigli nemmeno nel traffico all'uscita (oppure la lasci a qualche fermata e prendi la metro che arriva fino lì e che ieri sera, grazie al cielo, partiva di continuo), il panino te lo porti da casa perché certo non ti puoi aspettare di fare a Rho Fiera la tua cena gourmet (e, magari, vuoi pure spendere poco). Non ve lo meritate, il rock... pensate al pòro Eddie Vedder!
Non ci siamo: per carità, se l'alternativa era annullare, non vedo scelta ma l'esibizione di ieri ha avuto qualcosa di abbastanza triste. Pur nell'entusiasmo generale, più volte mi sono ritrovata a pensare a Seattle, la città dove piove sempre e dove tutto è cominciato.
Premetto che era il mio primo concerto dei Pearl Jam: le aspettative erano alte, un po' per quel che avevo visto l'anno scorso all'Arena del Visarno col solo Eddie, un po' perché la leggenda narra che i live dei Pearl Jam siano indimenticabili per durata ed intensità, secondi forse solo a Bruce Springsteen. Ecco, diciamo che il concerto di ieri non credo entrerà nella leggenda. Due ore scarse sostenute fondamentalmente dalla bravura della band - il chitarrista Mike McCready in testa - e dal calore dei fan. Eddie Vedder ha fatto quello che ha potuto ma, considerato che the show must go on e ha già solo in Italia altre due date, più di così era impossibile. 
Però non basta, almeno per me. 
Su "Even flow" praticamente ha cantato solo il pubblico e ok che Eddie aveva detto: "Stasera fate parte della band" però dai, questo è un trucchetto alla Vasco Rossi!!!
Tenero quando leggeva in un italiano inframmezzato dall'inglese, quando ha parlato della sua "first prima volta" in concerto a Milano nel '92 e, come allora, ha deciso di aprire con "Release", quando ha fatto salire sul palco la moglie per brindare con lei - intrecciando le braccia mentre le mani reggevano i bicchieri di plastica modello vecchietti che festeggiano le nozze d'oro - al ricordo dei 18 anni fa in cui si incontrarono alla fine di un concerto proprio al Filaforum di Assago. Grande cuore ma ho visto anche tanta fragilità, altro che "Eddie Vedder ritrova la voce e trionfa a Milano", come ha titolato qualche blasonata pagina.
Una cosa bella e che si può toccare che mi porto dietro è il poster del concerto. I Pearl Jam - così come Vedder da solista- fanno realizzare un poster diverso per ogni data in cui suonano. Quello di Milano è spettacolare, con una qualità di carta e di stampa ottimi persino nell'odore, realizzato da un artista italiano che si chiama Francesco Francavilla


Oggi aspettiamo Placebo e Noel Gallagher... staremo a vedere.

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