domenica 24 giugno 2018

I-days, terzo giorno.

Un po' di considerazioni al volo su questo terzo giorno di I-Days, perché se è vero che questa è la sera in cui sono arrivata prima a casa, è anche vero che c'ho addosso una stanchezza che lèvate, anche se è una stanchezza di quelle belle, di quando stai vivendo qualcosa che ti appassiona e senti che le preoccupazioni per un po' sono distanti, che sei riuscita a svuotare la mente che troppe volte assomiglia ad un cassonetto, piena come è di pensieri inutili e spesso dannosi.
A Milano da ieri le temperature si sono abbassate e tutto è diventato più godibile.
A dispetto delle mille critiche che leggo su fb sull'organizzazione e la location di questo festival, io continuo a trovarle straordinarie ma forse è solo come dice la mia amica Raffaella: è perché vengo da Roma, che in questo momento storico è un po' come dire "vengo dal Burundi".
Tutto è perfettibile, per carità, ma vedere gente che pure ad un festival rock è in grado di fare la raccolta differenziata o pensare che esistono luoghi per eventi lontani dal centro città ma facilmente raggiungibili coi mezzi - problema che chi mi conosce sa benissimo che per me è CRUCIALE - è quasi commovente (ancora mi ricordo della volta in cui sono andata a sentire gli Smashing Pumpkins, cinque anni fa al Rock in Roma di Capannelle, e ci ho messo la bellezza di TRE ORE per tornare a casa coi notturni).
Oggi sono arrivata in tempo per sentire i Ride, di cui avevo ascoltato qualcosa su youtube e che sembrano essere molto più energici dal vivo che su disco, e assistere con comodità al live dei Placebo.
I Placebo sono stati per me, sul finire degli anni '90, un gruppo di CULTO. Ho adorato i loro primi due album, specie "Without you I'm nothing", e li ho visti in concerto tre volte, questa era la quarta.
Fatto salvo il primissimo live, che avevo visto un milione di anni fa al Palladium proprio mentre usciva il loro secondo album, negli altri due non mi avevano convinto granché. Mi sembravano sempre svolgere il compitino, senza concedere nulla all'emozione, e trovavo insopportabile che Brian Molko ogni santa volta dovesse fare la checca pazza questionando dal palco con qualche ascoltatore a cui vedeva fare cose che non gli andavano a genio (l'ultima volta, sempre a Rock in Roma, mi ricordo che se l'era presa con uno che riprendeva il concerto con l'i-pad).
Stavolta è stato diverso: Brain Molko non è più l'androgino ragazzino che trovavo così sexy ma un signore con un filo di pappagorgia che, però, oggi ha fatto davvero un gran concerto, anche se era strano ascoltare le loro canzoni intrise di immaginario dark col sole delle 19.45 e il cielo azzurro di una bella giornata sullo sfondo. Evidentemente, la durata breve del set (poco meno di un'ora e un quarto) giova alla resa. Anche se è mancata qualche chicca che avrei gradito, tipo "Bruise Pristine", e niente classiconi come "Without you I'm nothing", che nella versione che cantarono con David Bowie è bella da lacrime, o "Every you, every me", hanno aperto con Pure Morning e suonato un sacco di pezzi fantastici come "Twenty years", "Too many friends" o "Protege moi".


Anche se ho avuto la ventura di capitare in un punto in cui si vedevano bene sia il palco che i maxi-schermi ma sembrava di stare in mezzo a delle salme, mi hanno lasciato la sensazione che, secondo me, lasciano tutte le belle cose, persone e situazioni con cui si viene in contatto per una durata limitata: la voglia di rivedersi ancora.

Bello il set di Noel Gallagher, anche se molto diverso da quello del fratello Liam, che aveva suonato giovedì nella giornata di apertura. Meno legato al passato, evidentemente orgoglioso dei pezzi composti per il progetto con gli High Flying Birds, che sono la sua nuova band, ha fatto poche concessioni alla nostalgia ed è giusto che sia così, non si può vivere solo di ricordi.
Scene indimenticabili: Noel sul palco, in un arrangiamento anche un po' più sofisticato di quello originale, che canta "Wonderwall" e degli ominidi, sicuramente ultratrentenni oppure che portavano i loro anni malissimo, a petto nudo vicino a noi che continuavano a fare un tristissimo pogo di panze sballonzolanti (pogare su "Wonderwall"... ma come se fa!?!?) mentre si riprendevano girando un video col cellulare... e poi ci lamentiamo dei sedicenni - ___-
Quando Noel ha cantato "Don't look back in anger" ho pensato che, se davvero un giorno gli Oasis si dovessero riunire per risuonare tutto il loro vecchio repertorio, sbancherebbero in qualunque data: i loro pezzi sono amatissimi, includendo magari nella set list anche qualcosa dei Beatles, come ha fatto Noel che ha chiuso il concerto con "All you need is love" (del resto, il gruppo ha una bella sezione di fiati e se lo poteva permettere).
Dopo Noel Gallagher c'era il dj Paul Kalkbrenner a mettere i suoi pezzi ma abbiamo accannato.
Domani c'è la giornata che - ipotizzo - avrà il più alto tasso di testosterone del festival: Offspring e, soprattutto, Queens of the Stone Age. Vado a letto sennò il radar anti-ominidi domani non mi funziona a dovere.

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